Assange

Politica e Società

Ithaka: l’Odissea di Julian Assange

John Shipton racconta in un documentario la lotta per la libertà del figlio, ideatore di Wikileaks

A cura di

Benedetta Fossati

Immagini di

acidpolly


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Scorrendo rapidamente i titoli di un qualsiasi giornale, o ascoltando anche solo distrattamente le notizie alla televisione, le possibilità che negli ultimi dieci anni non abbiate sentito parlare del caso Wikileaks, almeno una volta, sono pressoché pari a zero. Se poi la vostra reazione è stata quella di ignorare le evoluzioni e le implicazioni di questo emblematico caso internazionale, nessuno è qui per giudicarvi, tuttavia questa potrebbe essere la vostra occasione per essere redenti.

Per quanto mi riguarda la prima volta che mi ci sono scontrata per davvero è stata durante un corso di giornalismo all’università, corso nel quale il mio professore cercava di insegnarci il lavoro giornalistico e soprattutto di farci capire quali fossero i confini da non valicare. Fino a allora credevo che i confini esistessero solo tra uno Stato e l’altro, perciò incuriosita dalla questione e dalla sua ambiguità ho cercato di capirla meglio.

Facciamo quindi un salto nel passato. È il 2002 e Julian Assange è uno studente all’Università di Melbourne. Il dibattito sull’imminente guerra in Iraq è al centro dell’opinione pubblica. Gli studenti e i cittadini australiani si riuniscono in una delle più grandi manifestazioni della storia per impedire la partecipazione dell’esercito australiano a questo conflitto. L’impegno della popolazione non porta però a nulla. È il 2003 e le truppe statunitensi con l’ausilio di quelle australiane invadono l’Iraq.

La genesi di Wikileaks

È in questo momento che il progetto di Wikileaks inizia a germogliare nella mente di Assange, come idea di protesta, una protesta all’apparenza meno rumorosa, ma che a tempo debito farà più chiasso delle grida di migliaia di persone.

Arriva il 2006, appena tre anni dopo, quando il sito wikileaks.org viene lanciato: tutti sono liberi di depositarvi dei documenti proteggendo il loro anonimato. Da questo momento in avanti tutto ciò che è successo è diventato notizia, storia, scandalo e dibattito. Nel 2010, 90mila documenti dell’intelligence americana vengono resi pubblici e i crimini di guerra commessi dall’esercito statunitense in Iraq e in Afghanistan diventano protagonisti dei titoli delle maggiori testate giornalistiche internazionali: The New York Times, The Guardian, Der Spiegel.

Questo è solo l’inizio per Julian Assange della lunga odissea che lo vede protagonista, la quale, differentemente da quella dell’eroe greco Ulisse, dura ormai da tredici anni e il suo ritorno a Itaca sembra sempre più lontana.

Assange, il nuovo Ulisse

Le peripezie giudiziarie del giornalista australiano, dall’asilo politico concessogli dall’ambasciata dell’Ecuador nel 2012, fino all’accusa di spionaggio e al suo arresto nel 2019, ci sono state raccontate da decide di documentari, centinaia di articoli e altrettante rassegne stampa.

Solo recentemente però questo lungo viaggio, la sua odissea, ci è stata narrata in modo diverso e inaspettato. A suggerire l’analogia mitologica è stato il documentario ITHAKA: the fight to free Assange. A farmi scoprire questo prezioso lungometraggio è stato un invito insolito che ho ricevuto recentemente.

Ho infatti avuto la fortuna di partecipare a una proiezione organizzata dal deputato francese Arnaud Le Gall, all’Assemblea Nazionale di Parigi, in occasione della presa in esame, da parte della Corte Britannica, dell’ultimo appello degli avvocati di Assange contro la richiesta di estradizione negli Stati Uniti, avvenuta lo scorso 20 febbraio.

Proiezione di Ithaka all’Assemblea Nazionale di Parigi

Si tratta di un documentario diverso, prodotto dal fratellastro di Assange, Gabriel Shipton e diretto dal regista Ben Lawrence, si distingue per un taglio molto più intimo e personale. È stato presentato per la prima volta al Film Festival di Sydney nel 2021 e da allora è stato proiettato in giro per tutta l’Europa.

L’odissea però non è solamente quella del giornalista australiano, la narrazione questa volta si concentra anche sul padre dell’ideatore di Wikileaks, John Shipton, il quale dall’arresto del figlio si è impegnato in un viaggio, metaforico e non, per cercare di riportarlo a casa. La libertà di Julian finisce l’11 aprile del 2019, quando viene arrestato a Londra sotto richiesta del dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti con l’accusa di aver violato la Computer Fraud and Abuse Act (Cfaa), la prima legge statunitense contro gli hacker e le violazioni informatiche.

La voce del padre

A rendere commovente e toccante questo documentario è proprio la voce commossa di John, che raccontandoci gli ostacoli incontrati nel corso di questa battaglia ci fa entrare nella sua intimità e in quella di questa vicenda.

Sebbene il documentario si concentri sulle cronache giudiziarie degli ultimi quattro anni, Ben Lawrence attraverso i colloqui con John Shipton e con Stella Morris, avvocato difensore e moglie di Assange, ci mostra da un altro punto di vista gli esordi di Julian e i suoi ultimi anni di libertà. Vediamo proiettate all’inizio le immagini del giornalista, giovanissimo, protestare e gridare: “This mouvement is not about the destruction of law, it is about the construction of law”, davanti a migliaia di persone unite per la stessa causa.

Ed è proprio da quelle parole che nasce l’idea di Wikileaks. Quando però Lawrence prova à indagare più approfonditamente sull’infanzia di Julian, John si mostra sfuggente e restio nel rispondere. Padre e figlio sono infatti rimasti separati per molti anni, e poco dopo la loro riconciliazione Assange è stato arrestato.

È anche questa la ragione che ha spinto John a dedicarsi a questa causa con tanto amore e determinazione, ed è proprio quando ci parla di se stesso, della giovinezza trascorsa convivendo con un disturbo depressivo e delle difficoltà relazionali che ha dovuto affrontare, che possiamo capire ancora meglio dove ha trovato la forza per lottare per la giustizia e per la libertà.

Assange rischia 175 anni di carcere

La libertà in questa vicenda non è stata negata solo alla persona di Assange, ma anche alla sua parola di giornalista e di cittadino. Sebbene il primo emendamento della costituzione americana riconosca e protegga la libertà di stampa e di parola, a Julian Assange, nel maggio del 2019, sono comunque stati imputati altri diciassette capi di accusa di spionaggio. È stato il primo giornalista della storia a essere accusato di spionaggio e proprio per questo motivo il suo caso ha acceso un dibattito di portata internazionale.

L’accusa ha inoltre pesantemente aggravato la sua situazione e ora sulla sua testa pesa una condanna a 175 anni di reclusione e la possibilità di estradizione negli Stati Uniti, nello specifico nel carcere di Adx, Florence in Colorado uno dei maggiori carceri di massima sicurezza del Paese.

Il viaggio di John verso Itaca e per raggiungere il figlio è iniziato proprio in quel momento. Il documentario segue tutte le vicissitudini che portano alla sentenza della corte inglese del 2021 che respinge la richiesta di estradizione a causa delle gravi condizioni in cui versa la salute mentale di Julian.

Il racconto si conclude quindi con quella che noi sappiamo essere una vittoria provvisoria, perché la sentenza del gennaio del 2021 è stata ribaltata il 10 dicembre dello stesso anno dall’Alta Corte di Londra, che ha accolto il ricorso del team legale americano, e il 20 aprile 2022 la Westminster Magistrates Court di Londra ha emesso l’ordine formale di estradizione negli Usa.

L’odissea cambia volto

Durante le riprese finali, John sembra quasi prevedere ciò che succederà e vinto dallo sconforto e dal peso degli anni ripete mestamente “it can only get worse”. Tuttavia a non far perdere la speranza è proprio il titolo del documentario: “Ithaka” oltre ad essere un chiaro ed evidente riferimento al viaggio di Ulisse, è anche il titolo di quel capolavoro che Konstantinos Kavasis, poeta di Alessandria, scrisse nel 1911.

Allora qui l’odissea cambia volto, non è più il viaggio di Ulisse, ma una verità esistenziale. Non è più una promessa universale al ritorno, ma piuttosto un invito al viaggio e un invito a non perdersi mai d’animo:

“…devi augurarti che la strada sia lunga, fertile in avventure e in esperienze. I Lestrigoni e i Ciclopi o la furia di Nettuno non temere, non sarà questo il genere di incontri se il pensiero resta alto e un sentimento fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo”.


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