Huxley

Letteratura

Il mondo nuovo che non volevamo

Huxley e Orwell nei loro romanzi hanno immaginato dei futuri nefasti e forse oggi ci viviamo dentro

Tratto dalla rivista N.05

A cura di

Nicolò Guelfi

Immagini di

Francesco Bianchi


☝🏻 Condividi se ti è piaciuto!

Il concetto di distopia è quello di immaginare un futuro in cui le nostre più grandi paure siano divenute realtà. Lo scopo, se così si può dire, è quello di esorcizzare tale pensiero per far sì che tutto quel che si è immaginato non accada. Un monito, un po’ come se le paure funzionassero alla stessa maniera dei desideri: se le dici a voce alta, non si avverano. 

Ora, purtroppo, questo genere letterario non sempre è riuscito a fermare il futuro che voleva evitare, e dalla nostra prospettiva di spettatori del XXI secolo abbiamo la fortuna di poterlo vedere ex post come oggetto “scientifico”. Possiamo dire che alcune cose che le persone temevano come un futuro ipotetico nel passato sono diventate un presente spaventosamente reale.

Le storie distopiche, spesso afferenti (ma non sovrapponibili) al genere fantascientifico, sono ovviamente tantissime. Due testi in particolare nel ‘900 hanno segnato l’immaginario collettivo per il discorso legato alla società e ai sistemi politici, e, curiosamente, sono entrambi di autori inglesi: Il mondo nuovo di Aldous Huxley e 1984 di George Orwell. Gli amanti del genere, in un certo senso, possono gioire, perché noi abbiamo la fortuna di vivere in un mondo in cui si sono realizzate entrambe le forme di distopia (e forse non solo quelle).

La distopia di Orwell

Partiamo da quest’ultimo: nel suo testo del 1948, Eric Arthur Blair (questo il vero nome dell’autore) racconta di un mondo governato da un potere tirannico, con a capo la figura del Grande Fratello, il quale ti guarda, controlla la tua vita, provvede ai tuoi bisogno, garantisce l’ordine sociale, gestisce l’economia, controlla e cambia a suo piacimento la Storia. 1984, in oltre tre quarti di secolo, ha conosciuto una fortuna immensa nel mondo occidentale: il libro riusciva a cogliere gli aspetti centrali dei totalitarismi e quindi per contrasto enfatizzava il valore delle società democratiche dove la libertà e del singolo rimane (almeno in teoria) ancora un valore.

La distopia di Orwell

L’aspetto della lotta contro un potere centrale, malvagio, tirannico e liberticida, è un topos narrativo in realtà abbastanza classico. Fa pensare al Genio maligno di cui parla Cartesio nelle Meditazioni metafisiche, un diavolo tanto malvagio da aver convinto il mondo intero che egli non esiste e nel frattempo mistifica la realtà. La risposta di Orwell è la stessa del filosofo francese: il Genio maligno/Grande Fratello si sconfigge con il pensiero, perché solo un popolo senziente e consapevole fa paura al potere.

La cina e la Russia come “1984”

Ora, questa visione per noi occidentali è abbastanza piana e lineare, con una contrapposizione binaria e definita tra buoni e cattivi. Non ci stupisce perché l’abbiamo effettivamente già vissuta attraverso i totalitarismi di destra e di sinistra. La cosa risulta tuttavia più sorprendente se si considera che tale distopia si è pienamente concretizzata sotto i nostri occhi nella Repubblica Popolare Cinese, la quale peraltro ha quasi la stessa età del libro, e per certi versi anche nella Russia contemporanea.

Pensiamoci: un Paese con una lingua che quasi nessun altro parla al di fuori dei suoi confini, in cui esiste un governo centrale guidato dal partito unico che riscrive letteralmente la Storia (i fatti di piazza Tienanmen del 1989), reprime il dissenso (le proteste legate al Covid) e punisce severamente la diversità rispetto ai costumi della classe dirigente (i campi di concentramento e rieducazione per gli Uiguri nello Xinjiang). 1984 è fondamentalmente la realtà quotidiana per circa un miliardo e mezzo di persone.

La distopia di Huxley

Più sfaccettato è il discorso portato avanti da Aldous Huxley. Discendente da una famiglia inglese altolocata e acculturata (il nonno Thomas Henry era stato uno dei più forti sostenitori della teoria evoluzionista, al punto da essere soprannominato “Il mastino di Darwin”), Aldous inizia gli studi di Medicina ma si vede costretto a interrompere una promettente carriera per via di una malattia che lo riduce presto a una cecità quasi totale. Qui egli scopre il valore profondo della letteratura per dare forma ai suoi pensieri e vi introduce anche il suo sapere tecnico-scientifico e la sua vasta cultura per dare forma alle sue opere.

La distopia di Huxley

Il mondo nuovo esce nel 1932, quindi ben prima di Orwell e anche della Seconda Guerra Mondiale, ma la sua idea di distopia non è quella di una società governata con il pugno di ferro da un tiranno. La suggestione di Huxley è quella di una società perfetta, votata all’organizzazione, all’efficienza, al benessere e al consumo, dove le persone di rango più alto sono “libere”. La vicenda è ambientata a Londra nell’anno di Ford 632 (grossomodo il 2540 d.C.) e descrive una società il cui motto è “Comunità, Identità, Stabilità”.

Ford: il mito del progresso

Henry Ford, il magnate statunitense dell’auto – il quale, è bene ricordarlo, è stato il più grande finanziatore del Partito Nazionalsocialista al di fuori dalla Germania – viene visto come il modello dell’efficienza in quanto inventore della produzione in serie e del Modello T, il padre della modernità e della tecnica. Il suo disprezzo per la Storia è lo stesso che seguono i personaggi del mondo di Huxley. La società è una grande sinfonia di organizzazione e funzionalità: le persone divise in caste con crescente livello di intelletto e potere, la riproduzione in vitro, il condizionamento mentale, la piena occupazione, la vita in comune, la fine della famiglia, l’erotismo pienamente liberato, l’intrattenimento che incontra il consumo, le droghe senza effetti collaterali.

Quest’ultimo elemento è forse quello che dell’opera ha avuto maggior fortuna: il Soma, una droga in grado di portare in “vacanza” la mente senza danneggiarla. Perfino una società perfettamente organizzata e predeterminata può andare incontro a piccoli inconvenienti quali il dolore e la tristezza, ma nulla che mezzo grammo non possa curare. La società pensata da Huxley è quella in cui non esiste un vero e proprio potere malvagio che tiene le persone sotto il suo pesante giogo. Il potere esiste, ma è debole, evanescente, mellifluo, fatto di burocrati e governatori che hanno accettato il mito della stabilità. Sono le persone che non discutono, né lottano, né difendono la propria identità, perché la fine dei supplizi della vita vale più di qualsiasi causa sociale. La vittoria del divertimento sulla gioia, dell’attività sul lavoro, del trastullo sulla passione, per dirla con Hermann Hesse. 

Huxley e le droghe

Ecco questa visione, dopo quasi un secolo, risulta forse ancora più inquietante per i lettori occidentali, perché parla fondamentalmente di noi. Il governo dispotico di tipo orwelliano, per quanto potente, è un nemico esterno. Quello del Mondo nuovo è sì un governo totalitario, ma il suo potere non è tanto coercitivo quanto seducente. La protesta sociale è stata azzerata dalla soddisfazione del benessere, l’uguaglianza di tutti è stata abbandonata, l’affetto e i sentimenti, che minacciano l’efficienza e la produzione, sono stati tutti eradicati. Il nemico siamo noi, disinteressati a tutto quello che non sia il nostro piacere. Una visione forse più esistenziale che politica, ma abbastanza forte da descrivere chi siamo diventati.

Il discorso intorno alle droghe è centrale all’interno degli scritti di Huxley. Ricordiamo che egli le considerava anche un mezzo per espandere la propria coscienza, come descritto nel saggio Le porte della percezione, testo del 1954 che diede il nome ai Doors di Jim Morrison. Il problema è che le droghe possono essere anche un mezzo per spegnere la coscienza degli individui, un modo per rifuggire il dolore della realtà.

Il diritto a essere infelici

John, il giovane selvaggio che nel libro scopre il mondo nuovo venendo da una riserva indiana, ha conoscenza di cosa sia l’estasi provocata dalle droghe (si parla del peyote, del mescal) ma si rifiuta categoricamente di assumere il Soma. Questo perché egli, come lo ammonisce il Governatore Mustafà Mond, “rivendica il diritto a essere infelice”.Non so se questa breve descrizione sia sufficiente, ma le parole di Huxley dovrebbero far risuonare qualcosa in chi legge: quale potrebbe essere la società basata sull’efficienza, sulla performance, sul consumo, sul benessere, dove l’educazione pervasiva ci imbriglia in ruoli prestabiliti e dove neanche il più piccolo stralcio di tristezza e introspezione può esistere?
Se non si sa più che cosa indicare, allora è il momento di prendere uno specchio.

Lascia un commento

Torna in alto