Barthes

Letteratura

Frammenti di un discorso amoroso

Roland Barthes e quel poco che sappiamo sull’amore

Articolo estratto dalla rivista N°02

A cura di

Nicolò Guelfi

Immagini di

Giulia Calamai


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«La solitudine dell’innamorato non è la solitudine di una persona, è una solitudine di sistema». Roland Barthes, semiologo francese tra i padri dello strutturalismo, riassume in una sola frase quello che è il senso profondo e la motivazione che porta alla stesura di una delle sue ultime opere. Un testo che oggi, a quasi mezzo secolo dalla pubblicazione, parla ai lettori di ogni età e provenienza di un argomento che, come pochi, racchiude una cosa e il suo contrario. Un tema che è insieme universale e singolare, meraviglioso e scandaloso, noto a tutti e per certi versi segreto: l’amore

Frammenti di un discorso amoroso, pubblicato nel 1977, è un’opera all’apparenza indecifrabile, la quale analizza un oggetto nascosto proprio sotto gli occhi di tutti noi. “Amore” è una delle parole più usate (e abusate) nella nostra lingua, una delle prime che vengono imparate dai bambini, ma riconoscere cosa effettivamente significhi è tutt’altro che semplice. Il testo, camminando su un filo invisibile che separa la saggistica dalla letteratura, ricostruisce il tema partendo dai suoi attributi, una descrizione del noumeno dietro il fenomeno che sfida la filosofia di Immanuel Kant. 

Prima di proseguire bisogna sgomberare il campo da un equivoco: il libro non è un manuale per guarire dal dolore che dilania gli innamorati non corrisposti, né tantomeno una “guida alla seduzione” con un tono da intellettuale. Rispetto ai Remedia Amoris di Ovidio, Barthes compie un grande passo avanti: l’amore diventa una malattia nel momento in cui il soggetto non ne conosce le caratteristiche.

La costruzione di un amore

L’autore cerca quindi di essere esaustivo su un oggetto enorme, ma partendo dalle sue caratteristiche più piccole. In poco più di duecento pagine Barthes, mescolando serietà e ironia, prende in esame le caratteristiche del sentimento amoroso, del soggetto che ama e dell’oggetto amato: i sostantivi “Abbraccio”, “Angoscia”, “Capire”, “Compassione”, ovviamente “Cuore” (che da sempre fa rima con “amore”), “Dramma”, “Gelosia”, “Incontro”, “Scenata”, “Tenerezza” e “Unione” diventano aggettivi di un discorso più grande (quello amoroso) e proprio per questo costituiscono i capitoli del saggio. Il semiologo scrive la grammatica di una lingua che tutti noi parliamo, ma spesso senza conoscerla. I capitoli sono piccoli affreschi nei quali noi, spettatori daltonici, possiamo riconoscere i colori dell’amore.

Ma quali sono gli strumenti con cui Barthes approccia il discorso amoroso? È lo stesso autore a rispondere nelle prime pagine propedeutiche intitolate Come è fatto questo libro: «Quello che viene proposto è, se si vuole, un ritratto; ma questo ritratto non è psicologico, ma strutturale: esso presenta una collocazione della parola: la collocazione di qualcuno che parla dentro di sé, amorosamente, di fronte all’altro (l’oggetto amato), il quale invece non parla». Immagine fortissima che richiama forse l’episodio di Michelangelo che scolpisce la statua del Mosè, il quale resta muto di fronte al suo creatore.

Lo scandalo dell’innamorato di Barthes

Per interpretare il mondo tutti noi ci avvaliamo di simboli, miti, archetipi, figure paradigmatiche che portano l’esempio. L’amore non è sempre stato lo stesso nel corso della storia umana e le diverse culture lo hanno raccontato (e lo vivono ancora oggi) in maniera molto diversa. Dalla metà del XVIII secolo circa in Occidente viviamo nel periodo dell’amore, cosiddetto, “romantico”. Ciononostante, la contemporaneità, secondo Barthes, è diventata estranea all’amore. L’innamorato viene visto come “pazzo”, suscita scandalo nello spettatore, e la cosa incredibile è che la nostra società è arrivata a superare il tabù della sessualità, mentre quello dell’amore resta sempre uno choc. Per questo motivo l’autore attinge alla cultura per recuperare modelli che possono mettere in scena per noi l’amore. Come la tragedia greca mette in scena le virtù morali a scopo catartico, il filosofo ricostruisce un pantheon di figure in grado di esemplificare quello che accade a tutti noi.

Roland Barthes, intervistato nel programma Tuttilibri spiega la sua visione sullo scandalo dell’amore.

Il Fedro e il Simposio di Platone, la psicanalisi di Freud e Lacan, la letteratura francese, la musica di Wagner, fino alla filosofia di Nietzsche – uniti alle esperienze personali di chi scrive per ricordare che ogni storia e ogni soggetto è unico – sono tutti strumenti nella cassetta degli attrezzi che ogni esperto di materia amorosa dovrebbe utilizzare, ma I dolori del giovane Werther di Goethe, caposaldo del romanticismo tedesco che ha ispirato Ugo Foscolo a scrivere Le ultime lettere di Jacopo Ortis, è la colla che tiene insieme le pagine. 

Werther: l’archetipo dell’innamorato di Barthes

Werther è il prototipo stesso del soggetto che ama: il suo amore infelice attraversa tutte le fasi e affronta le diverse prospettive. Anche la sua tragica fine è uno spunto per affrontare un tema. Werther non deve essere imitato (come purtroppo in molti hanno fatto, generando un fenomeno legato ai suicidi che prende il nome di “effetto Werther”), ma egli è il personaggio che si sacrifica nella finzione per mostrare a cosa un amore incompreso (non dall’oggetto, ma dal soggetto) possa portare. 

Altro aspetto interessante è che l’opera di Barthes, attingendo a modelli differenti, non parla esplicitamente solo di rapporti eterosessuali. L’autore è ben consapevole, e la lettura di Platone lo prova, che il sentimento non è legato al sesso biologico, ma a una categoria che lo trascende. L’amore esiste anche tra persone dello stesso sesso, e il fatto che tale concetto non venga mai esplicitato nel libro è segno di una profonda normalizzazione, un tratto di modernità.

A cosa serve il discorso oggi

Un saggio sull’amore non può avere morale, perché la morale in senso narrativo non è propria dei saggi, e la morale in senso filosofico non è propria dell’amore. Ogni forma di moralismo è fuori discussione. Ma quello che possiamo prendere dall’opera sono due constatazioni: la prima è che gli strumenti culturali – bistrattati e relegati ai margini di una società che non considera nient’altro se non il profitto – non sono accessori, ma veri mezzi di interpretazione. La logica non è sufficiente, e anche i processi chimici che regolano il funzionamento del nostro corpo non dicono nulla alle persone. Parlare di dopamina, serotonina e altri ormoni, per quanto corretto, non rappresenta pienamente ciò che accade. Spiegarlo per mezzo di figure antropomorfe, però, dà un volto e un nome a quello che tutti noi potremmo aver sperimentato nel corso della vita, e questo è proprio ciò che un discorso sull’amore può fare.

Parafrasando Gabriel Marcel, è errato considerare l’amore come un problema e tentare di risolverlo in termini razionali; esso infatti è un mistero e come tale trascende l’analisi razionale. Il secondo aspetto, e forse il più importante, è quello che Barthes afferma sia nell’incipit che nell’explicit dell’opera: nessun sistema, nessuna filosofia, oggi, accoglie al suo interno l’amore. Esso è solo e apolide, come il soggetto che ama: «stigmatizzato dalla religione, cancellato dalla psicoanalisi, dimenticato completamente dal marxismo». Oggi si parla molto di educazione sentimentale, quella cosa che davvero manca e porta a degenerazioni nei rapporti. Ridare una collocazione sociale e una comprensione all’amore nella contemporaneità non è solo possibile. È necessario.

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