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Politica e Società

“A tutti piace il fritto”

Nasce a Bologna, dalle menti di tre amiche, Patatine Fritte, nuovo podcast femminista e non solo

A cura di

Lorenzo Marsicola

Immagini di

Patatine Fritte


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A Bologna un nuovo podcast dalle menti di Sara, Ilaria e Agata. Femminismo e stereotipi di genere sono i temi centrali, legati a svariati ambiti, ma riletti e rielaborati con una nuova ottica. Ne abbiamo parlato con loro.

Anzitutto, presentatevi brevemente ai nostri lettori

Sara: Sono Sara, sono originaria di Genova, ma attualmente vive a Bologna, città dove mi sono laureata all’indirizzo Cinema Televisione e Produzione multimediale con una tesi sulla videoarte e femminismo. Lavoro nel mondo degli eventi nel settore della produzione, cultrice della materia di Studi Visuali all’Università di Bologna. Scrivo per varie testate, tra cui Cantiere Bologna e Juliet art magazine. Transfemminista, attivista e lesbica.

Ilaria: Sono Ilaria, sono di Prato. Mi sono laureata in Scienze della comunicazione con una tesi in studi mediatici di genere, lavoro come consulente informatica. Femminista guastafeste per definizione, ho scritto per The Vision, ho lavorato al progetto Contronarrazioni, ho pubblicato un romanzo Questa volta non posso sbagliare (Dialoghi Edizioni) e sono attivista per il No Hate Speech Movement Italia.

Agata: sono Agata, o come mi chiamano alcuni Aghytar, dall’unione del mio nome e la mia passione per la chitarra. Suono male anche il basso e cerco di dilettarmi con la consolle. Ho studiato recitazione per qualche anno in un’accademia e adesso sto proseguendo i miei studi al Dams di Bologna. Da poco tempo ho creato Patatine Fritte con Sara e Ilaria, un podcast che tratta vari argomenti tra cui: attualità, cinema, musica e tanto altro, in chiave femminista. Penso che siamo in un periodo storico dove grazie ai social possiamo contribuire e farci sentire su determinate tematiche in molti modi e patatine fritte spera di fare questo dentro e fuori i social.

Come nasce l’idea di Patatine Fritte?

Agata: Io personalmente già da tempo avevo voglia di mettermi in gioco, ma avevo bisogno di almeno un paio di cose fondamentali: per prima, di trovare le persone giuste con cui dare vita ad un progetto del genere; secondo, inizialmente non avevo neanche ben chiaro il modo in cui avrei sviluppato questa idea, e solo dopo aver parlato con Sara e Ilaria siamo arrivate a pensare a un podcast. Tutte e tre volevamo dare il nostro contributo su temi e battaglie che ci stanno a cuore, però allo stesso tempo serviva una forma che rispecchiasse la nostra personalità. La molla che ci ha spinto a realizzare questo progetto in forma di podcast è stata il gap retributivo evidente nel mondo della musica o dello spettacolo, come purtroppo in tanti altri ambiti, tra mondo maschile e femminile. Questo ci ha spinto a voler realizzare una forma di intrattenimento e informazione, un podcast. Oltre a ciò, volevamo trovare un mezzo di comunicazione meno di nicchia, che rispecchi un messaggio che per noi è centrale: i problemi legati alla violenza di genere o femminismo riguardano tutti i generi, contrariamente a quanto si pensa; il podcast, inoltre, ci dà la possibilità di trattare tematiche di ogni tipo, in base al periodo: piccolo spoiler, per fare un esempio concreto, durante la settimana di Sanremo dedicheremo una puntata a quello, forse anche in diretta.

Ilaria: Per quanto riguarda il nome invece, abbiamo fatto un lungo brainstorming, buttando là vari nomi che in qualche maniera ci ispiravano, finché non abbiamo avuto un’illuminazione: alla fine dei conti tutto è buono fritto, è cosa nota, e il nome offre anche un doppio senso, neanche troppo nascosto, sul fatto che siamo tre ragazze. Dopodiché abbiamo fatto il classico sondaggio tra le nostre conoscenze, è il nome è piaciuto. Funziona a livello concettuale, ma rispecchia anche lo spirito “goliardico” con cui abbiamo iniziato il progetto.

Come nascono le vostre puntate? Quanta parte ha l’improvvisazione all’interno di esse?

Agata: Inizialmente avevamo pensato a registrarle tutte e tre assieme, ma la distanza geografica con Ilaria, ci ha spinto a ripensare il tipo di collaborazione che potevamo avere con lei. Per cui adesso Ilaria, sulla scia di quanto ha fatto in precedenza individualmente, sceglie una parola, tratta dal dizionario femminista, che poi io e Sara andiamo ad approfondire nel corso della puntata. Per l’episodio pilota abbiamo scelto “posizionamento”, in quanto dovevamo presentarci al pubblico; per la seconda, essendo andata in onda a fine dicembre, abbiamo preferito fare una sorta di “best of” di quanto accaduto nel 2023 in ambito di femminista: abbiamo parlato di nuove uscite di libri, film, interventi. Un riassunto del 2023, nel bene nel male, visti i numeri inquietanti riguardanti episodi di violenza di genere che anche quest’anno sono tristemente saliti agli onori della cronaca. Dalla prossima puntata abbiamo però in mente qualcosa di diverso: ad ogni puntata tratteremo di stereotipi di genere, uno per episodio, dividendoli per ambiti. Per quanto riguarda l’improvvisazione, ha un ruolo, ma solo in parte. Di solito cerchiamo di avere una scaletta da seguire. Tuttavia, essendo ancora agli inizi, dobbiamo cercare di trovare un taglio che ci piaccia e che piaccia anche a chi ci ascolta, per cui cerchiamo di non essere troppo granitiche.

Ilaria: Per quanto riguarda il dizionario femminista, sarà l’unica parte scritta del programma; prosegue un mio progetto di divulgazione che avevo iniziato su Instagram, quasi tre anni fa. L’obbiettivo di quello, ma anche di questo nuovo progetto, è quello di rendere il linguaggio femminista accessibile a tutti, e soprattutto trasversale. Spesso termini di matrice femminista vengono travisati, compresi male. Questo perché vogliamo rendere più fruibile possibile la terminologia ad un pubblico più ampio, che non necessariamente conosce con esattezza ciò di cui stiamo trattando. Motivo per cui spesso questo tipo di linguaggio viene avvertito, o presentato, come di nicchia e non accessibile a tutti. E credo che questo tipo di divulgazione si coniughi perfettamente con il format del podcast, che dà ai temi trattati, anche quelli più complessi e spinosi, un’aria familiare, colloquiale, come una chiacchierata fra amic*.

L’obbiettivo è riuscire a comunicare anche con il pubblico che non necessariamente condivide le vostre posizioni? Oltre a questo, c’è molta ironia nelle vostre puntate, non spicciola, ma che anzi invoglia alla riflessione: è legata a questo obiettivo?

Ilaria: Dunque, diciamo che ci sono ruoli e ruoli. E anche luoghi e luoghi. Sì, è vero, noi trattiamo spesso con ironia tematiche anche pesanti, ma questo per il motivo che dicevo sopra: è complementare alla tipologia di format che abbiamo scelto. Attraverso la quale magari promuoviamo convegni, libri, film dove invece le stesse tematiche vengono affrontate in maniera più seria e pratica.

Sara: il tono ironico certamente aiuta a raggiungere un pubblico più ampio, e anche la tipologia di linguaggio colloquiale che utilizziamo. Siamo consapevoli dell’importanza delle tematiche che trattiamo, che ci riguardano da vicino. Ma allo stesso tempo ribadiamo che l’obbiettivo è uscire dalla nicchia, altrimenti rimaniamo ancorate alla forma del comunicato stampa, di quattro pagine Word, che nessuno legge; dobbiamo cercare un bacino di utenza più largo. Ci sono già spazi del genere, ma noi vorremo dare un respiro ancora più ampio. Motivo per cui abbiamo ad esempio scelto di non limitarci all’audio, ma abbiamo introdotto anche la parte video. È importante metterci la faccia, cosicché il pubblico possa identificarti e familiarizzare con te. In futuro, ad esempio, potremmo anche pensare a trasmissioni live, anche per incrementare ulteriormente la partecipazione del pubblico.

Ilaria: Semplificare non vuol dire banalizzare, ma rendere più accessibile. E i feedback che ci arrivano confermano questa nostra decisione. Il pubblico deve sentirsi incluso nella conversazione, proprio perché ha un formato tale per cui si avvicina più che altro ad uno scambio di informazioni e opinioni fra due amiche,

Agata: anche la spontaneità è importante, sempre per i soliti motivi. Noi non abbiamo la pretesa di spiegare in maniera tecnica l’argomento che stiamo trattando, non è la sede giusta, ma ci arriviamo attraverso una conversazione, amichevole, con toni leggeri, che interessi l’ascoltatore e lo spinga ad una riflessione, tenendo a mente l’importanza di ciò che stiamo trattando.

Domenica 11 febbraio fra l’altro sarete presenti ad Ateliersi, a Bologna, per l’evento “Una sedia è una sedia non è una sedia è una non” di Francesca Lolli

Sara: Anna, una mia carissima amica, è in contatto con Lea Melandri, storica giornalista e attivista femminista, abbiamo partecipato ad alcuni suoi workshop in passato, e ci è venuta voglia di riproporre qualcosa di simile nel corso di quella giornata, a partire però dalle nostre competenze. La giornata comprenderà anche e soprattutto uno spettacolo di Francesca Lolli, la sera. Nel tardo pomeriggio ci sarà un dj set di Agata. Patatine Fritte esce allo scoperto potremmo dire, non con la voce, come durante i podcast, ma sostenendo e presenziando fisicamente, cosa che abbiamo intenzione di fare spesso in futuro.

Ilaria: un ultimo appunto: abbiamo usato spesso la parola femminista, che non vuol dire però femminile. Vuol dire guardare il mondo da un’ottica di genere, ma non è discriminatorio, non vuole stereotipare i generi, ma anzi l’esatto contrario. Un’ottica di genere già c’è, ed è quella per cui i maschi devono fare certe cose e le femmine altre. Il punto è far emergere contraddizioni, per rendere ciò che è considerato maschile o femminile fluido, interscambiabile. Il femminismo non riguarda solo le donne, ma tutt* coloro che si ritrovano in una condizione di oppressione creata dalla società che viviamo tutti i giorni.

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