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Arte

“Come tu mi vuoi”: l’arte contro gli stereotipi di genere

Francesca Lolli presenta a Bologna il suo ultimo progetto, esplorando le possibilità della fotografia come mezzo politico, ma non solo

A cura di

Lorenzo Marsicola

Immagini di

Francesca Lolli


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Un dialogo tra arte, spazio e argomenti fin troppo attuali. Così potremmo definire la mostra Come tu mi vuoi di Francesca Lolli e curata da Sara Papini, che si terrà dal 31 gennaio al 4 febbraio 2024, nell’ambito di Art City Bologna 2024, presso la fondazione Carlo Gajani.

Il progetto, Come tu mi vuoi, è un lavoro fotografico ancora in essere iniziato nel 2021, composto da una serie di autoritratti dell’artista mirati a indagare gli stereotipi di genere.

Le foto in mostra, esposte all’interno degli spazi della fondazione saranno poste in dialogo con la casa e le opere dell’artista Gajani, attraverso una relazione a distanza nel tempo e nello spazio fra i due in un gioco di rimandi intergenerazionali.

“In questo luogo familiare vorrei giocare con la mia presenza/assenza esponendo la serie fotografica sugli stereotipi di genere, Come tu mi vuoi, mimetizzandola con l’ambiente circostante” spiega Francesca Lolli “All’interno della mia ricerca, per lo più fatta di video arte e video performance, la fotografia si pone come un’occasione per sperimentare alcuni dei temi a me cari come il genere e le questioni sociopolitiche legate ad esso. L’indagine avviene attraverso un mezzo espressivo a me ancora poco familiare ma necessario, in questo momento, per indagare le varie maschere stereotipate dell’essere umano, principalmente la donna in questo caso, dovute a preconcetti e sovrastrutture socioculturali”.

non solo una mostra, ma una caccia all’opera

Oltre la parte fotografica della mostra, quindi, l’artista andrà ad attuare ulteriori interventi site-specific all’interno della fondazione, portando lo spettatore e la spettatrice ad interagire in prima persona con l’ambiente e le opere, in una vera e propria “caccia all’opera”. Capire dove Francesca Lolli avrà apportato modifiche all’interno dello spazio della fondazione potrà essere talvolta evidente ma spesso difficile se non impossibile.

Un momento, quindi, artistico ma soprattutto politico. “Il personale è politico” dicevano le femministe degli anni ’60 e il lavoro di Francesca Lolli chiaramente lo dimostra.

Come specifica la curatrice della mostra Sara Papini: “Da sempre, infatti, la donna è stata relegata a posizioni di inferiorità rispetto all’uomo, soprattutto nel mondo occidentale. Associata a stereotipi sessisti e di genere, ha dovuto faticosamente affermarsi come essere sociale sin dall’800. Non più oggetto, come direbbe Irigaray e neanche soggetto altro come evidenzierebbe De Beauvoir”. 

“Ad oggi – prosegue Papini – nonostante i grandi gruppi femministi che hanno animato il panorama Europeo e Italiano degli anni ’60 – ’70, persistono alcune problematicità come dimostrano le statistiche dell’Istat ogni anno. Le donne sono ancora coloro che perdono più velocemente lavoro, che non riescono quasi mai ad arrivare al vertice delle aziende, rilegate ad accettare spesso lavori part-time al fine di prendersi cura di figli e famiglia e ancora fortemente sessualizzate. Il corpo della donna, come ha sottolineato a più riprese Lorella Zanardo, è ancora un corpo oggetto, un corpo svalutato e mercificato o come direbbe Emanuela Abbatecola nel suo ultimo saggio edito per Feltrinelli, Donna Faber, sessualizzato. Nel lavoro di Francesca Lolli emerge tutto questo e anche di più”.

Fotografia, cinema e teatro

Nata a Perugia, Francesca si trasferisce a Milano dopo un breve periodo di studi in Filosofia nella sua città. Si diploma alla scuola di Teatro “Arsenale” come attrice e poco dopo si laurea in scenografia all’Accademia di Belle Arti di Brera (Milano). Durante gli anni dell’Accademia lavora come attrice nella compagnia del Teatro Arsenale e partecipa a numerosi spettacoli (Il gioco dell’epidemia di E. Ionesco, Il berretto a sonagli di L. Pirandello, Pulp di C. Bukowski e La chiesa di L. F. Celine).

Per la tesi decide di girare un documentario su un famoso fotografo newyorkese: Andres Serrano. Da quel momento decide di cambiare la sua vita e di dedicarsi completamente alla video arte, alla performance e alla regia. Dal 2015 al 2017 frequenta il Cfcn (Centro di Formazione Cinematografico Nazionale – Fonderia delle Arti) diplomandosi in Regia Cinematografica. Da sempre interessata a dipingere la condizione femminile la sua ricerca si concentra sulle diversità di genere e le questioni sociopolitiche. I suoi lavori sono stati proiettati e messi in mostra in numerosi festival nazionali ed internazionali.

L’arte come urgenza di comunicare

“Tutta la mia ricerca si può racchiudere in un’unica parola: urgenza. È l’urgenza che porta alla comunicazione, ed i mezzi che ho scelto per fare ciò sono quelli a me più congeniali: il corpo e il video. Attraverso di essi cerco di essere veicolo di emozioni, cerco di sublimare la mia visione della vita e del mondo che mi circonda e molto spesso possiede.

L’obiettivo principale della mia ricerca è quello di ricevere ed elaborare il qui e ora, di parlare del presente e di poterlo trasporre cercando di renderlo universale. Vorrei che il mio corpo (dal vivo attraverso la performance o filtrato dall’obiettivo) fosse un mezzo pulsante e ricettivo dei mali (e beni) dell’epoca nella quale mi è dato vivere. In fondo La vita è colpa dell’arte, come disse Pierre Restany”.

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