Arte

Lo stereotipo è nel dettaglio

A Bologna la prima della nuova mostra di Francesca Lolli, Come tu mi vuoi”

A cura di

Lorenzo Marsicola

Immagini di

Agata Mellia


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La scorsa settimana RatPark ha proposto un’anteprima della mostra “Come tu mi vuoi”, realizzata da Francesca Lolli e curata da Sara Papini. Abbiamo avuto il piacere, nella serata inaugurale del 31 gennaio, di essere invitati alla prima della mostra, che possiamo dire fin da subito, merita di essere visitata.

Il luogo

Certamente un ruolo importante nella riuscita della mostra lo ha giocato lo stesso luogo, la fondazione Carlo Gajani, che ha sede nella ex abitazione dell’artista bolognese nel centro della città. La casa, per volere della moglie, è rimasta invariata negli arredi e nella disposizione delle opere dell’artista, dopo la sua dipartita nel dicembre del 2009.

Le opere esposte da Francesca Lolli dialogano con l’eredità artistica di Gajani, creando un contrasto stilistico, ma anche generazionale, che salta subito all’occhio. Come ci ha riferito la stessa Lolli, la produzione di Gajani, fatta di dipinti, ma soprattutto fotografie, ha favorito la creazione di questo contrasto, e ha indirizzato la scelta di non esporre passivamente le proprie installazioni.

Il percorso

Al contrario, la scelta dell’artista è stata quella di far convivere le due realtà, andando però a “nascondere” fra gli oggetti e gli arredamenti della casa alcune delle opere preparate per l’occasione. Tutto nella casa diventa parte della mostra, ogni oggetto potrebbe rivelarvi un dettaglio, come i piatti presenti nella sala da pranzo, che solo teoricamente servivano ad accogliere un piccolo rinfresco: su ciascuno è scritta una frase “fatta” riguardo la violenza di genere e le forme di patriarcato spesso celate dietro modi di dire, sui quali troppo raramente ci si interroga. Alla stessa maniera, sulle mura della casa potreste trovare altre frasi di questo genere.

Come sui vari mobili presenti nell’abitazione potrete scorgere oggetti solo apparentemente casalinghi, che sono stati rimpiazzati con miniature del progetto fotografico di Lolli, Come tu mi vuoi, che dà il nome alla mostra.

Una sorta di caccia al tesoro, che assume però un valore politico importante: la presenza di Lolli, come ci ha spiegato lei stessa, vive nella casa attraverso gli oggetti, chiara metafora per l’oggettificazione a cui la donna era, ed è ancora oggi, sottoposta. Questa specie di caccia al tesoro fa da contorno a momenti di dialogo diretti fra l’ambiente della Fondazione e il progetto della Lolli.

La parte visuale

Dalla sala da pranzo si accede prima al salotto, dove due pareti accolgono la gigantesca biblioteca di Carlo Gajani. Di fronte ai due divani in pelle, è sistemato un televisore a tubo catodico, sul quale è proiettata la clip Tutte le volte che, opera multimediale che la Lolli ha realizzato nel 2022.

Il video, pensato appositamente per il tubo catodico, che si sposa perfettamente con l’arredamento della stanza, è diviso in due momenti: inizialmente vengono proiettate immagini felici e serene, che tuttx conosciamo bene, alla famiglia felice della Mulino Bianco, per intendersi.

Ad un certo punto però il flusso delle immagini si interrompe per mano della stessa artista e ci ritroviamo di fronte ad una donna che cerca faticosamente di comunicarci qualcosa. L’audio però è incomprensibile, e il segnale disturbato, e di nuovo tornano immagini stereotipate di famiglie felici. Ciò che però la donna vuole comunicarci è realmente importante: sono frasi che provengono dallo storico testo Femminismo e Anarchia di Emma Goldman, risalente al 1910.

Spostandoci oltre, il dialogo fra casa e mostra diventa ancora più marcato: nella prima delle due sale da posa, troviamo una parete che ospita alcuni scatti in bianco e nero di nudo femminile realizzati da Gajani. Sulla parete opposta, il lavoro fotografico omonimo della mostra della Lolli. Vari autoscatti, che ritraggono in maniera colorata e ironica i principali stereotipi affibbiati alle donne comunemente, dalla casalinga con la bocca tappata, all’attivista femminista “baffuta”, tutti interpretati dalla stessa Lolli.

Un’immagine potente, vivace nei colori, che fanno da contraltare al bianco e nero di Gajani.

La trilogia del videogioco

Nella sala adiacente, oscurata per l’occasione, è proiettato l’ultimo dei lavori recenti di videoarte della Lolli, provocatorio e geniale, Oh My Tits. L’opera chiude la trilogia del videogioco, che comprende anche La Santa e la Puttana e Run Baby!!!, ha ancora la Lolli come soggetto, che parla attraverso il proprio corpo, in particolare attraverso il proprio seno. Questo viene presentato in ogni forma di oggettificazione discorsiva: il seno come simbolo della maternità, della cura, della sensualità, ma anche come malattia o dolore. La domanda, come spiega la stessa artista, è semplice: Perché il seno femminile viene censurato? E se fosse come un seno maschile? Se fosse solo parte di un corpo, senza sessualità?

Il percorso di conclude nella camera da letto di Gajani, dove è invece proiettato Run Baby Run!!!, citato in precedenza. Protagonista del video è l’Eroina transfemminista, che all’interno di un immaginario videogioco combatte non solo gli stereotipi di genere, ma anche per i diritti acquisiti negli anni, a rischio, o non presenti, per tante donne.

Citando la stessa artista: “Il game over è sempre dietro l’angolo”. Queste le tappe principali della mostra, che però difficilmente può essere descritta compiutamente in un articolo. Una mostra sorprendente, in cui il dettaglio si interseca alla perfezione con le installazioni, ribadendo e amplificandone il messaggio, come se tutto nell’abitazione gridasse ad alta voce, pur non essendoci, di fatto, voce, in nessuno dei video presenti.

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