Arte

Hybris: un dialogo tra arte e cambiamento climatico

Guy Lydster, artista neozelandese, svela a Bologna il suo ultimo progetto, tristemente attuale

A cura di

Lorenzo Marsicola

Immagini di

Harrison Haines


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Che ruolo può avere l’arte rispetto ad una questione drammaticamente attuale come quella del cambiamento climatico? Di questa annosa questione abbiamo avuto il piacere di parlare con Guy Lydster, artista e scultore neozelandese, che di recente ha presentato nell’ambito di Art City, a Bologna, il suo ultimo progetto, Hybris in esposizione al VAAM architettura di via Libia.

Il progetto

 Il progetto Hỳbris nasce dalla riflessione dell’artista sull’Antropocene, ossia sull’attuale epoca geologica, in cui per la prima volta nella storia della Terra l’attività umana ha inciso in maniera così radicale da provocare cambiamenti profondi e irreversibili su larga scala. Tali mutamenti ‘strutturali’, causati principalmente dalle attività industriali, dall’urbanizzazione selvaggia, dall’agricoltura intensiva e dalla estrazione delle risorse naturali, sono il frutto di un modello culturale egoico e miope, incapace di fermarsi persino davanti alla evidente deriva dissipatrice e autodistruttiva del suo agire.

Guy Lydster affronta tale tema proponendo una monumentale tetralogia sviluppata lungo un percorso segnato da quattro ‘stazioni’ strettamente legate fra di loro da un costrutto narratologico in cui il conflitto fra Uomo e Natura si reifica in uno scontro culturale fra passato, presente e futuro. Nella prima stazione, infatti, un’ombra scura (il pittogramma dell’Uomo) saluta fiero il sopraggiungere di una minacciosa onda magmatica (la Natura), la quale avanza sui resti di una civiltà classica simbolo di una sorta di aurea aetas, un tempo mitico di prosperità e abbondanza in cui non esistevano né leggi, né proprietà privata, non c’era odio tra gli individui e in cui non esisteva la guerra.

Nella seconda, invece, un enorme volto induce al silenzio, a un atto di ipocrita omertà nei confronti dell’odierna opera di sfruttamento e devastazione compiuta dal novello Prometeo in preda a una sempre più avida volontà di potenza.

Nella terza stazione l’ombra scura tiene in mano il Mondo in segno di sfida nei confronti del magma divoratore sempre più incipiente. È questa la rappresentazione più drammatica della “tracotanza” dell’essere umano, l’hỳbris appunto, alla quale, però, non può che seguire una inevitabile sconfitta. 

Nell’ultima stazione, infatti, l’uomo, vittima della sua stessa arroganza e della cieca fiducia nelle proprie forze, è sopraffatto dalla Natura la quale, dop avere eliminato il suo ‘male’ fagocitandolo e buttandolo alla deriva di un deserto sterile, si riprende il suo posto pronta (forse) a ripartire.

Le motivazioni

Come è nato il progetto? Quali sono state le fonti d’ispirazione? Come mai la scelta proprio del concetto di Hybris?

L’arrivo delle quattro onde apocalittiche delle immagini rivela l’eterno ritorno di una forza distruttrice proveniente dalla fonte di vita della terra stessa. In un video fatto da me recentemente ho visto un movimento di onde marine con forme e colori straordinari. In ogni singola onda di qualsiasi dimensione, vedo una portatrice di una potenza inimmaginabile, ma anche una presenza simbolica di cambiamento radicale in cui la volontà umana è assente. Il titolo della mostra è emerso durante un dialogo con Giuseppe Virelli. Dopo aver visto i quattro bozzetti ha subito identificato l’idea unificatrice: Hybris.

Che ruolo possono avere l’arte e l’artista in una battaglia, quella per l’ambiente, molto politicizzata?

L’arte contemporanea dovrebbe segnalare l’esistenza di certi “hot spots”, quei punti caldi, o problemi vulcanici che affliggono la nostra contemporaneità. Cogliere il presagio di un momento critico non è necessariamente una questione di coscienza artistica, ma individuarlo e poi esprimerlo fa parte dell’emotività di ogni singolo mondo artistico. Spesso l’artista non capisce veramente il significato globale del suo operare. Lo esegue come un canale di energia creativa. Se scegliesse di diventare un guerriero in una battaglia sociale o politica, l’esito artistico delle sue azioni dovrebbe andare ben oltre il suo gesto creativo. Il suo impegno diventa una risorsa collettiva.

La riscoperta di un passato in cui uomo e natura vivevano in simbiosi, può influire sulle scelte future?

L’Arcadia implicita nella domanda è un’ideale che appartiene al mondo del mito. La simbiosi tra uomo e natura è sempre stata precaria, come testimoniano tutte le pareti della storia umana costruite per separarci dal mondo naturale. Però non bisogna mai trascurare il nostro legame con la natura. Il nostro modo di esserci dentro. Il futuro della nostra società non deve basarsi su un recupero di una precedente età aurea. Questo nostro momento della resa dei conti è unico. Le nostre future scelte culturali dovranno riguardare quei percorsi conoscitivi attualmente meno esplorati come l’intelligenza e la vita sociale delle piante o l’ascolto del paesaggio. Sta a noi a scoprire in questi intrecci vitali una nuova “storia” di equilibrio con una natura anche nostra.

La sconfitta dell’uomo è dunque inevitabile? O può esserci una soluzione alternativa a questo “conflitto”?

Credo che la sconfitta di una certa idea dell’uomo sia già in atto. Questa fine lenta richiama un culmine quasi tragico. L’agonia delle figure del Laocoonte avvinghiate dai serpenti è un‘immagine scultorea di un pericolo mortale serbato nel seno della città con il consenso dei potenti. Perciò la questione finale non è, “essere o non essere”; ma una soluzione al nostro conflitto esistenziale può essere cercata nella rinuncia ad una vecchia idea di grandezza. Quando Amleto, per esempio, saluta il fantasma di suo padre assassinato, dà un addio anche ad un intero mondo che ha avuto il suo tempo. Forse l’autodistruzione del nostro presente è il continuo rimando di questo sacrificio.

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