Antipop

Musica

Antipop, il romanzo familiare di Cosmo

Jacopo Farina, regista e fotografo, racconta in un documentario le radici e i sogni del cantautore d’Ivrea

A cura di

Nicolò Guelfi

Immagini di

Jacopo Farina


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Non il film biografico su un artista, ma una storia su un luogo, degli amici, una famiglia. Antipop, diretto da Jacopo Farina, in uscita il 1° marzo sulla piattaforma di streaming Mubi, è un documentario a cavallo tra il medio e il lungometraggio che, nei suoi 60 minuti, non cerca la celebrazione del fenomeno musicale Cosmo, quanto piuttosto il racconto, intimo e sincero, dell’universo che circonda Marco Jacopo Bianchi (vero nome del musicista di Ivrea). La cosmogonia di uno dei progetti musicali più interessanti del panorama italiano, che comincia nel canavese negli anni ’90, all’ombra delle Alpi, sulle note distorte di band come Melange e Drink to Me.

In psicoanalisi, “romanzo familiare” è il complesso di fantasie consce e inconsce che talvolta si sviluppano in età preadolescenziale, fino alla costruzione di articolate storie sui propri natali, immaginando di non essere figli dei genitori naturali ma, ad esempio, di personaggi nobili e potenti. O almeno questa è l’idea che aveva Sigmund Freud. Antipop, in un certo senso, ricalca l’idea del medico austriaco, ma con una differenza: Cosmo non sogna i nobili natali, omaggia e rivendica le proprie umili origini.

Il regista Jacopo Farina

Il regista, già autore dei videoclip di Le voci e Sei la mia città, ha presentato l’opera in una serie di sale selezionate in giro per l’Italia (tra cui il Cinema Massimo di Torino), riscuotendo l’apprezzamento e l’affetto del pubblico. L’uscita in piattaforma anticipa di alcune settimane quello che sarà il quinto album in studio di Cosmo, Sulle ali del cavallo bianco, e offre per la prima volta la possibilità di ripercorrere la storia musicale passata dell’artista prima di proiettarci nel futuro.

Antipop, che prende il nome dal secondo brano di La terza estate dell’amore, è un lavoro intenso e sincero, capace dal singolare di poter astrarre al generale permettendo a tutti gli spettatori di immedesimarsi ed empatizzare. Un prodotto dove lo storytelling è forte, ma in cui la musica non è mera forma, ma sostanza. Un’opera per la quale, citando le parole del protagonista, vorrei poter ancora dire “grazie”.

Come nasce il progetto Antipop?

Marco mi ha detto che a Luca Guadagnino erano piaciuti i miei videoclip, e lì ho avuto l’idea di fare un prodotto lungo basato sulla sua musica, quasi un film. Lui mi ha dato l’ok e mi sono messo a fare ricerca: ho conosciuto la sua famiglia, i suoi amici, mi sono immerso nel suo mondo. Ne è emerso un discorso che ha a che fare con la provincia e con la voglia di fuggire.

L’idea di avere la sua musica e di fare un video lungo un po’ sperimentale mi è piaciuta fin da subito: per me Antipop non è un film sulla vita di Cosmo. È una saga familiare, con degli amici. In mezzo c’è il sogno di un ragazzo che vuole provare a fare il musicista. C’è anche un racconto dell’indie rock italiano in cui si cantava in inglese, un fenomeno culturale che non è stato ancora molto storicizzato.

Antipop è un progetto ambizioso, che ha richiesto sicuramente molto impegno. Quanto tempo è stato necessario per realizzarlo?

Tre anni. C’è stata anche la pandemia di mezzo che ha rallentato i lavori, ma in questo tempo in più ho anche corretto un po’ il tiro. In quel periodo ho studiato cinque libri di sceneggiatura, e ne ho approfittato per migliorare il mio lavoro. Antipop è un po’ il depositato di questo processo.

Questo è il primo lungometraggio con cui ti confronti, ma la tua formazione è quella di fotografo. Come è iniziata la tua esperienza da regista?

Io ho iniziato a 20 anni con la fotografia. Io sono di Milano, avevo fatto una mostra da Micamera e lì avevo conosciuto il vice di un photo editor di Vanity Fair, così sono entrato a lavorare con loro. Poi ho lavorato per l’agenzia Contrasto a Roma.

Ho realizzato il mio primo video musicale con Marco Proserpio per i Ministri, Noi Fuori, firmato come collettivo Sterven Jonger. Poi ho girato Viva degli Zen Circus. Il mio primo videoclip come unico autore è stato Le Voci, proprio con Cosmo. Lo conoscevo già perché avevo scattato delle foto ai Drink To Me, la sua vecchia band, per Noisey. In sostanza, sono diventato videomaker per caso perché ho fatto delle foto ai Ministri e poi mi sono ritrovato a fare i video. In realtà io ho studiato Beni Culturali alla Statale di Milano.

Le voci è uscito il 29 febbraio del 2016, il giorno in più di un anno bisestile. Sono passati otto anni, ma in effetti a rivederlo oggi potrebbero esserne passati solamente due. Questo video è un tassello importante della realizzazione di Antipop: come siete arrivati a girarlo? 

Ho seguito Cosmo dall’inizio della carriera solista perché mi piaceva molto la sua musica. Lo incontrai a un festival e gli chiesi se volesse fare un video assieme a me. Mi disse di no. All’epoca il suo progetto non era ancora esploso: Disordine, il primo album, non aveva avuto il successo sperato. Mi disse, in totale sincerità, che non c’erano i soldi per realizzare alcun video. Io gli risposi che non lo facevo per i soldi. Non sapevo che lui volesse chiudere lì la sua carriera. Mi mandò Le voci e L’ultima festa. Scelsi la prima. Il risultato è che andò bene, mi pagò alla fine del tour.

La musica di Cosmo è caratterizzata da una grande energia suggestiva. Come trasponi le parole in immagini?

Io ascolto la canzone un sacco di volte e poi a un certo punto mi vengono delle idee. Bisogna essere realistici, non si possono avere sconti sul budget. Nel caso di Le voci non ce n’erano proprio. Io sono andato a dormire in una cantina, ho conosciuto Giacomo Laser. “Dovete darmi tutto voi!”, gli dissi. Feci delle domande a Cosmo e decisi di fare un documentario/verità un po’ neorealista. Nel ritornello lui sente le voci che vuole scappare, nella strofa quelle di restare a casa con la sua famiglia. Ho scritto anche tutta una sceneggiatura. Quando è uscito, il video fece un po’ scandalo perché era molto forte, ma era sincero.

Lavorando al documentario sei dovuto entrare in profondità nella vita e nel passato di Cosmo. Qual è dal tuo punto di vista la sua dote più grande?

Il fatto che lui sia vero. Io penso che alla lunga si perda il successo falsificando se stessi. Oggi bisogna attrarre il pubblico in ogni modo, ma se ti mantieni vero hai la possibilità di durare più a lungo. Calcutta è così, e lo è anche Cosmo. Fare le cose per i numeri non è una visione a lungo termine. Fare musica è un’esigenza comunicativa. Marco mantiene sempre la voglia di essere onesto con se stesso, che è anche difficile, perché spesso si cambia nel corso del tempo.

Il documentario è un’opera corale, con tanti personaggi unici e straordinari. Quali sono quelli a cui sei più legato?

Io sono molto affezionato al papà di Marco perché è un personaggio incredibile, ci vorrebbe un film su di lui. Tengo molto anche alla madre, Barbara. La cosa che mi ha colpito di questa famiglia è la presenza di estremi opposti che sono presenti anche in Marco. È come una pila che ha un polo positivo e negativo attraverso cui passa l’energia, e questa è l’essenza di una storia.

Un aspetto molto affascinante, quasi una capsula del tempo, è la presenza di videotape originali inediti registrati in Vhs. Come li avete trovati?

È merito di Cosmo. Lui si è messo a disposizione e mi ha fatto vedere le sue cassette. Le aveva registrate lui a cavallo tra anni ’90 e 2000. Un reperto incredibile, che fotografa la musica e la vita di quegli anni. Lui è uno che tiene traccia di tutto ciò che accade. Un giorno mi ha mandato una mail e dentro c’era la pagina di diario del giorno dopo che gli avevo mandato il video di Le voci. In sostanza, diceva: “Ho visto il video mi sono gasato, ma so che ormai è finita”.

Io non sapevo nulla, così gli dissi di registrare la sua voce mentre leggeva il testo e l’abbiamo inserita nel documentario sovrapponendola al videoclip. C’è un fatto curioso: Il 29 febbraio 2016 è uscito Le voci, e l’ultima proiezione dal vivo di Antipop prima dell’uscita su Mubi sarà proprio lo stesso giorno al Cinema Troisi di Roma.

Dalle videocassette allo streaming. Oggi ci sono decine di piattaforme utilizzate per distribuire film, serie e documentari: perché la scelta di Mubi?

Mubi è merito di Emiliano Colasanti, un’idea che è piaciuta molto sia a me che a Cosmo. Io penso che la cultura sia l’unico modo di sfuggire alla realtà algoritmica e turbocapitalista e credo che Mubi sia un’isola di cultura. È un bel canale, interessante, in cui saremmo stati felici di vedere pubblicata l’opera.

Il film è disponibile anche con sottotitoli in inglese, sembra che il prodotto sia piaciuto anche all’estero, ma è una storia ambientata a Ivrea. Come lo spieghi?

Tutto il mondo è provincia. I Drink to Me potrebbero essere un gruppo francese. L’operazione è quella di calarsi e vivere le cose. Cercavamo le musiche da inserire nel film perché si sentissero le cose, è un montaggio emotivo, e questo va oltre le barriere nazionali.

Il 15 marzo uscirà Sulle ali del cavallo bianco, il quinto disco solista di Cosmo. È un caso che un film che ripercorre il suo passato esca due settimane prima della sua ultima avventura?

Non è stato casuale, volevamo che il documentario precedesse il nuovo album. La parola “Cosmo” è multipla, dentro c’è tutto. Il documentario vuole fare la stessa cosa: raccontare un pezzo di questo tutto.

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