Moretti

Il Sol dell’Avvenire

Se Nanni Moretti cambia il finale della storia

A cura di

Natalia Cecconi

Immagini di

Wikimedia commons


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Nel suo ultimo film, in concorso al Festival di Cannes 2023, Nanni Moretti propone una “ucronìa” cinematografica che tenta di ridisegnare non solo la storia della politica italiana, ma anche la propria.

La trama

Giovanni (Nanni Moretti) è un regista alle prese con la realizzazione del suo nuovo film, ambientato nell’Italia del 1956: è appena scoppiata la rivolta in Ungheria, che scatena una violenta repressione armata da parte del regime sovietico. Protagonisti del film sono Ennio (Silvio Orlando), caporedattore dell’Unità e dirigente della sezione di quartiere del PCI, e Vera (Barbora Bobulova), fervente militante comunista. Entrambi intimamente interdetti dinanzi alla linea di Togliatti che sostiene la repressione sovietica, solo Vera avrà il coraggio di smarcarsi apertamente dal partito. E proprio quando Ennio, lacerato dal conflitto fra adesione al partito e coscienza, sta per compiere un atto estremo, il regista decide di cambiare il finale della trama. Nel frattempo, Giovanni si ritrova a gestire la propria vita personale con la figlia e la moglie Paola (Margherita Buy), produttrice dei suoi film e insoddisfatta dal rapporto di coppia, la quale incontra segretamente uno psicologo.

Il cinema nel cinema

Apparentemente riducibile a film sul meta-cinema dal gusto un po’ felliniano, l’ultimo lavoro di Moretti è in realtà un’opera complessa, costruita su più piani narrativi che si intrecciano e si sovrappongono quasi impercettibilmente, affrontando, sotto nuove e diverse luci, alcune delle tematiche più care al regista. Almeno tre sono i binari su cui si sviluppa la narrazione: quello del film di Giovanni, quello della sua vita privata, e infine quello della realtà – ovvero le note autobiografiche dello stesso Nanni Moretti, meno immediatamente apprezzabili eppure così presenti.

Moretti cita se stesso

Il Sol dell’Avvenire è, innanzitutto, un film intriso di cinema, che ne costituisce senza dubbio il principale Leitmotiv. A fare da sfondo al tema del “cinema nel cinema” sono le allusioni di cui la pellicola è costellata. Il motivo circense e Cinecittà, chiari omaggi all’opera felliniana, sono però quasi messi in ombra dalle fitte autocitazioni che sfidano lo spettatore: dalle scene di uno stonatissimo Nanni Moretti che canta canzoni italiane, al nome della compagnia circense (Budavari), che ricalca quello del pallanuotista di Palombella Rossa, fino alla lunga scena del regista che palleggia solitario, in cui non si può non notare un nostalgico richiamo a Caro Diario (e alla morettiana passione per il calcio).

La tragicomica critica della violenza

Eppure, nonostante alcuni elementi più ermetici, che fanno l’occhiolino ai cinefili e che gli sono valsi accuse di autoreferenzialità e narcisismo, il film appare tutt’altro che inaccessibile. Ne è un esempio la scena del “problema etico del cinema”, in cui l’alter-ego di Moretti, con irresistibile autoironia, tiene in ostaggio per ore il set dove si sta per girare una sparatoria. Questa, dice Giovanni, è una “esecuzione”, nulla di più. Una violenza fine a se stessa, che non trasmette altro se non il gusto del puro intrattenimento.

Tema, questo della rappresentazione cinematografica della violenza, che costituisce un altro fondamentale fil rouge della riflessione portata avanti ne Il Sol dell’Avvenire. La futilità insita nel perpetrare le più brutali forme di violenza è tanto fortemente condannata da portare Giovanni a non volerla riproporre, decidendo in extremis di modificare il finale del proprio film, e da far immaginare a Moretti un corso alternativo per la storia.

Ecco quindi che, muovendo da un discorso riferito alla settima arte, il regista sviluppa una più ampia riflessione capace di parlare a tutti, senza rinunciare, nemmeno qui, a disseminare la scena di riferimenti cinematografici (ne è un esempio la citazione di Breve film sull’uccidere di Kieślowski). 

La storia si fa con i “se”

Anche il rapporto con il passato è protagonista in questo film. Ma non soltanto il rapporto con una storia collettiva: sotto a questo più immediato piano narrativo esplode una rivisitazione da parte dell’autore del proprio passato personale. Obbligatorio in questo senso citare quella che è forse la frase centrale del film: “[…] la storia non si fa con i ‘se’. E chi l’ha detto? Io voglio farla proprio con i se”. E questo vale anche rispetto alla narrazione alternativa che Moretti propone rispetto al corso della sua storia: un matrimonio che dura da “quarant’anni”, come orgogliosamente evidenziato da Giovanni, e un rapporto con la figlia che, seppur complesso, si rivela tutto sommato solido.

Non privo di elementi retorici e già visti – uno fra tutti: la figlia che si innamora di un uomo molto più grande di lei fra lo sconcerto dei genitori – il film appare però caratterizzato da una capacità di analisi, messa in discussione di sé e profondità psicologica che lo rende ricco, complesso, e che volentieri si lascia rivedere e interpretare. E interpretare anche oltrepassando le intenzioni consapevoli del regista. Pensiamo al trasporto romantico con cui la Bobulova sostiene che il film che Giovanni sta girando sia in realtà una storia d’amore: un film, ci vuole dire Moretti, ha una sua anima e un significato che può sconfinare quello che ha inteso attribuirgli il regista.

Il testamento di Nanni Moretti?

Questa pellicola è stata definita da più parti profondamente “morettiana” – epiteto non particolarmente gradito al regista. Un aggettivo che risulta però azzeccato a partire dai giudizi sul film, tipicamente spaccati in due, perché, si sa, Nanni Moretti o si ama o si odia. Ma “morettiane” sono anche alcune delle scene più belle del film, come la sequenza, leggera e liberatoria, in cui l’intero set balla Voglio vederti danzare, con un gusto per la musica e il ballo che, oltre ad essere uno dei motivi ricorrenti del film, ci rimandano immediatamente a certi passaggi di Caro Diario. Ma lo stesso vale, inutile dirlo, per la sequenza finale, in cui compaiono in marcia non solo tutti gli attori del film e del film-nel-film, ma anche diversi attori storici della carriera di Moretti.

È proprio quest’ultima scena ad aver fatto parlare da più parti di un “testamento” di Nanni Moretti, definizione dalla quale però il regista si è fermamente dissociato nel corso di un’intervista a Che Tempo Che Fa. Non sappiamo cosa ci riserva l’“avvenire” della carriera morettiana, se ce ne sarà uno. Certo è che in questo film il regista, ricomponendo in un’attenta disamina la propria storia professionale, personale e politica, comunica un consapevole sguardo al passato e, forse, una serena fantasia nel rivisitarlo.

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