Pubblica amministrazione

Politica e società

La performance: arma divisiva e di tacita accettazione dell’ideologia meritocratica

La circolare pubblicata dal ministero della Pubblica amministrazione lo scorso novembre punta a rivedere il lavoro nell’ottica della produttività. Ma è davvero la scelta migliore?

A cura di

Federico Giusti

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Foto di Dylan Gillis su Unsplash


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Da anni il mondo sindacale considera la meritocrazia, il lavoro per obiettivi, la performance dei fenomeni da co-gestire illudendosi di poterli indirizzare a vantaggio della forza lavoro o di governarne i processi. Se manca una visione critica della meritocrazia il salario viene trasformato in una variabile dipendente da profitto, produttività e appunto il presunto merito.

Avere accettato il criterio della performance è stato un grave errore sindacale così come avere pensato di governare la contrattazione di secondo livello con contratti nazionali che in partenza sanciscono trattamenti diseguali prevedendo indennità per alcune figure e non per altre.

Sempre i Ccnl da anni scaricano sulla contrattazione di secondo livello compiti prettamente ragionieristici escludendo in partenza la contrattazione su materie dirimenti come l’organizzazione del lavoro.

All’ombra della performance si sono consumati la riduzione del potere di acquisto della forza lavoro e di contrattazione del sindacato e l’accettazione del principio della disuguaglianza. Il ciclo della performance non è servito ad accrescere e migliorare i servizi pubblici e al contempo non ha favorito un miglioramento delle condizioni lavorative e contrattuali del personale pubblico.

Se sono stati rafforzati i poteri dirigenziali e quelli della delegazione trattante di parte pubblica, la qualità della vita dei dipendenti della pubblica amministrazione ha avuto solo contraccolpi negativi come anche l’effettivo potere contrattuale esercitato dalle Rsu.

La sola idea che il personale debba meritarsi quote di salario sembra un autentico paradosso se pensiamo che nel Pubblico non esiste una quattordicesima mensilità come nel privato e sempre nel Pubblico tra Enti e comparti permangono differenze salariali considerevoli.

Il ciclo della performance è servito quindi a ridurre il potere contrattuale e di acquisto della forza lavoro affermando il principio della disuguaglianza salariale.

Il merito di fantozziana memoria

Oggi la performance è oggetto di revisione da parte del ministro Zangrillo. Le nuove linee guida ministeriali ben presto le ritroveremo recepite, acriticamente, nei futuri contratti nazionali del comparto pubblico rafforzando quella meritocrazia che dalla valutazione con i classici voti si indirizzerà verso un sistema manageriale e imprenditoriale da estendere a tutta la pubblica amministrazione.

Si parla infatti di superamento della valutazione gerarchica, sostenibilità, leadership e formazione per andare verso un sistema di controllo costruito sulla promessa che anche il singolo dipendente potrà contare qualcosa nella gestione della macchina amministrativa quando invece il suo ruolo è sempre più subalterno alle logiche meritocratiche, di accrescimento della produttività e di sostanziale distribuzione diseguale del salario accessorio.

Non è casuale che all’ombra del Pnrr si stia incrementando la produttività individuale e collettiva a costo zero o a costi decisamente ridotti tanto nel settore pubblico quanto in quello privato fino ai contratti di apprendistato nella Pa.

Invece di andare verso il rafforzamento del potere di acquisto dei salari, potenziandone la parte normata dai contratti nazionali, si pensa a nuove forme di premialità che graveranno sul fondo della produttività generale. Insomma, premi a pochi a discapito di tanti.

E ci saranno enti nei quali le premialità saranno possibili e altri in cui no, visto il criterio della “sostenibilità amministrativa, gestionale ed economica dei sistemi”, una sorta di antipasto di quanto presto avverrà con l’Autonomia differenziata con alcune aree del Paese, quelle economicamente deboli, nelle quali magari verranno attuate anche le gabbie salariali.

È evidente che una quattordicesima mensilità nel Pubblico impiego avrebbe portato benefici maggiori in termini stipendiali e previdenziali di quel fondo della produttività sul quale gravano istituti contrattuali dei quali beneficiano, in parti diseguali, i dipendenti con crescenti sperequazioni per altro “autorizzate” e comandate dai contratti nazionali vigenti. Ma è proprio il meccanismo della performance e della produttività ad avere sancito la nascita della contrattazione al ribasso negli enti pubblici

Il coinvolgimento nella valutazione di più soggetti, interni ed esterni, finirà con il far decidere la distribuzione di salario accessorio a quanti, senza cognizione della macchina gestionale, potranno comunque esprimere valutazioni pilotate dall’alto e caratterizzate da posizioni umorali.

Il perenne senso di colpa per l’inadeguatezza del servizio in misura, quantitativa e qualitativa, inferiore alle aspettative dei capi, è un fattore determinante per accrescere le prestazioni lavorative. Allo stesso tempo, specie negli ultimi anni, i sindacati non hanno spiegato alla cittadinanza i meccanismi di funzionamento e le criticità del servizio pubblico, i mancati investimenti in strumenti e risorse umane, hanno insomma rinunciato a comunicare il proprio dissenso sulla gestione della Pubblica amministrazione.

Se un semplice lavoratore volesse esternare il disappunto per la mancanza di personale o per i carichi di lavoro o perfino per la carenza dei dispositivi di protezione individuale come avvenuto nella fase pandemica, lo stesso potrebbe incorrere in provvedimenti disciplinari per avere leso il buon nome dell’amministrazione.

I codici di comportamento sono stati costruiti ad arte per trasformare la critica in danno di immagine: una semplice esternazione, se documentata o pubblicata su qualche social, potrebbe far scaturire procedimenti disciplinari fino al licenziamento.

Ma l’idea che un cittadino possa giudicare e valutare il dipendente pubblico determinando anche l’attribuzione allo stesso di parte del salario accessorio è un salto di qualità.

Non siamo davanti ad una decisione democratica perché la cittadinanza dovrebbe essere messa in condizione di valutare l’operato degli amministratori e avere voce in capitolo sulle modalità di gestione dei servizi, sul loro potenziamento, sulla effettiva fruibilità dei servizi erogati, su quanti fondi vengono erogati ai servizi, al contrario la cultura meritocratica alimenta il senso di rivalsa verso il dipendente pubblico la cui immagine è stata negli anni screditata e vilipesa attraverso la strisciante campagna contro i cosiddetti fannulloni.

La cultura meritocratica, per sopravvivere, deve quindi rinnovarsi per assumere connotati populisti, facendo credere al singolo dipendente di avere voce in capitolo su processi decisionali dai quali viene invece letteralmente schiacciato. E lo stesso ragionamento vale per la cittadinanza il cui potere decisionale è ormai inesistente.

Un modello organizzativo e gestionale che mette insieme il populismo becero di chi ha affossato i servizi pubblici presentandosi alla occorrenza con sembianze pseudo democratiche, con criteri gestionali tipicamente manageriali come, ad esempio, la valorizzazione della leadership.

Viene sbandierato ai quattro venti il concetto di soft skill, che poi si riferisce a non meglio definite “competenze legate all’intelligenza emotiva e alle abilità naturali dei singoli”. Come possa l’intelligenza emotiva apparire un valore aggiunto è tutto da scoprire, per non parlare poi di presunte abilità innate che sono poi frutto delle opportunità sociali accordate ad alcuni ma non ad altri. Un giovane proletario avrà minori opportunità di conoscenza di chi appartenendo ad una famiglia agiata avrà visitato musei, soggiornato all’estero, acquisito conoscenze sicuramente maggiori.

Quanto poi alle cosiddette premialità non economiche, pensiamo a un vecchio modello aziendale di fantozziana memoriache potrebbe portare al dipendente del mese o dell’anno e a forme di gratificazione destinate ad accrescere carichi di lavoro e produttività a costo zero annullando ogni distinzione tra tempi di vita e tempi di lavoro.

La pubblica amministrazione può essere esempio di meritocrazia?

La direttiva del Ministro Zangrillo è un esempio lampante della cultura meritocratica che per affermarsi propugna valori e percorsi che all’atto pratico si dimostreranno invece assai diversi. La valutazione dal basso chiamerebbe i dipendenti ad esprimersi sui loro dirigenti in forma rigorosamente anonima al fine di delegittimarne l’operato o dare agli amministratori strumenti da utilizzare a proprio piacimento specie se alcuni processi organizzativi non andranno incontro ai desiderata dei sindaci o dei managers chiamati a dirigere le aziende sanitarie. Stanno pensando a questionari anonimi volti a verificare se l’operato del dirigente è orientato a valorizzare le attitudini del personale, a incentivarne la produttività, a garantire il benessere organizzativo.

Bisogna ricordare che il benessere organizzativo è uno strumento per favorire l’accrescimento della produttività e non equivale al miglioramento delle condizioni di vita e lavorative mentre la valutazione inter pares è del tutto illusoria dentro strutture gerarchiche e verticali e quindi non paritarie.

Quando poi leggiamo della valutazione collegiale si capisce come l’obiettivo sia quello di intensificare i sistemi di controllo sulla forza lavoro alimentando quella sorta di spionaggio dal basso che acuirà le contraddizioni in seno al personale (al resto ci penseranno i codici disciplinari che puniscono fino al licenziamento i dipendenti infedeli e quanti rilasciando dichiarazioni pubbliche che potrebbero disonorare il buon nome dell’ente).

Nella circolare Zangrillo arrivano stakeholder esterni che poi potrebbero essere non solo cittadini facilmente manipolabili da una informazione a senso unico ma anche associazioni di categoria e lobby varie che all’ombra del Pnrr manifestano forza e potere a mero discapito della natura pubblica dei servizi

Ci chiediamo cosa voglia fare il sindacato davanti a questo avvento della ideologia meritocratica 4.0. Dal silenzio che accompagna la circolare Zangrillo possiamo ipotizzare un senso di impotenza che nasce dalla tacita accettazione di un modello gestionale che andrebbe criticato fin dalle sue fondamenta, invece di cullarsi nella vana illusione di poterlo governare a favore dei lavoratori, i quali ne usciranno divisi, frammentati e soprattutto penalizzati.

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