Cinema

Io, Capitano

Il nuovo lavoro di Matteo Garrone è il film che meritiamo, ma soprattutto di cui avevamo bisogno

A cura di

Mattia Migliarino

Immagini di

@rbcasting


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Qual è il modo migliore per un artista di trasmettere un messaggio o esporre una tematica senza rischiare che questa venga etichettata come prettamente retorica ed embrionalmente effimera, seguendo l’attuale tendenza odierna che rende rapidamente obsoleti tutta questa tipologia di discorsi? Come si può affrontare una questione di grande attualità e importanza, come l’emigrazione senza che quest’ultima perda piano piano di rilevanza finendo nell’oblio?  

Matteo Garrone, con il suo più recente lavoro, “Io, Capitano” (2023), affronta con successo questa sfida, creando un film socialmente impegnato senza dimenticare il potere del cinema non solo di riflettere la realtà, ma anche di conferirle un tocco mitico ed eroico rendendolo il mezzo più efficace per toccare il profondo di ognuno di noi.

È proprio attraverso l’arte cinematografica che il regista romano, considerato da uno dei massimi esperti del cinema italiano, Vito Zagarrio dell’Università degli Studi Roma Tre, come uno dei migliori registi del nuovo cinema italiano, porta in scena una storia di grande rilevanza per il mondo contemporaneo, riuscendo a mantenere viva la magia del cinema.

Un viaggio “straordinario”

La storia è quella di Seydou e Moussa, due giovani senegalesi che, animati da sogni ardenti e una determinazione inarrestabile, intraprendono un viaggio epico, lasciando il loro amato Senegal con un solo obiettivo: raggiungere la terra promessa europea. La loro odissea li costringe a fronteggiare la vastità inospitale del deserto, a sopravvivere alle atrocità dei cupi centri di detenzione in Libia, e infine a osare la pericolosa traversata del mar Mediterraneo. In questo viaggio che attraversa terre sconosciute e pericoli imminenti, Seydou e Moussa diventano testimonianza vivente della resilienza umana e della fame di speranza che continua a bruciare nei cuori di coloro che cercano una vita migliore.

In questa straordinaria odissea contemporanea, i due protagonisti si allontanano dal loro quartiere di Dakar, un luogo che Matteo Garrone decide di raffigurare non come una terra di estrema povertà, bensì come un nido perfettamente armonioso, in cui la cultura della solidarietà tra gli abitanti fiorisce e dove il faticoso lavoro quotidiano si intreccia con le vibranti festività dei canti e dei balli serali che coinvolgono l’intera comunità. Un ritratto commovente di un’armonia ormai perduta, intrappolata tra la bellezza della tradizione e l’aspirazione verso un futuro incerto.

L’abbandono del mondo ordinario e l’immergersi nel mondo straordinario del viaggio svelano le intricate peripezie che ogni migrante è chiamato a superare per giungere alle coste europee: attraversare l’arduo deserto, resistere agli oscuri labirinti delle carceri libiche e infine sfidare le acque imprevedibili del Mar Mediterraneo. In questo contesto, lo spettatore si trova di fronte a un racconto che non può ignorare, una storia avvincente che invita a una riflessione profonda e a interrogarsi sulle molteplici sfaccettature di questo viaggio epico e spesso tragico.

In questa straordinaria epopea diretta verso l’Italia, è Seydou stesso a prendere il timone della piccola imbarcazione, guidando coraggiosamente tutti i viaggiatori verso la speranza e la salvezza. Il momento dell’approdo sulle affascinanti coste italiane rappresenta un doppio traguardo: l’adempimento dell’ambizioso sogno di una nuova vita in un nuovo paese e la maturazione personale del protagonista, come ogni grande opera di ‘formazione’ auspica.

Questo ”viaggio dell’eroe” , un concetto coniato dal rinomato sceneggiatore americano Christopher Vogler, si conclude in modo magistrale con il vibrante grido del giovane senegalese rivolto direttamente alla macchina da presa: «Io, Capitano». Un’immagine che, secondo la mia personale convinzione, si incide profondamente nella mente degli spettatori e troverà in futuro un posto d’onore nei capitoli della storia del cinema contemporaneo.

Perché Io, Capitano è un film necessario?

Ma perché il film di Garrone è così necessario in questo momento? Nel mondo contemporaneo, oggi più che mai è essenziale che il cinema si confronti con questioni di vitale importanza. La necessità di creare un legame profondo tra l’arte, la politica e la società si rivela fondamentale in un’epoca in cui pare essersi ormai smarrita la capacità di lottare per ideali politici, di perseguire una battaglia, di avere la consapevolezza critica del mondo che ci circonda e dei suoi problemi.

Siamo insensibili, ossessionati dalla continua ricerca di notizie sempre nuove, e seppelliamo le questioni precedenti sotto un mucchio di informazioni successive. In questo senso è importante invece che ci siano opere capaci di traghettare lo spettatore attraverso un viaggio che possa aiutarlo a comprendere che i problemi esistono e sono sempre intorno a noi.

Ci sono molte opere cinematografiche che hanno affrontato con successo il tema dell’emigrazione ma l’opera di Matteo Garrone si distingue per la sua capacità di essere accessibile dall’inizio, un film che proprio per la sua natura ha un lieto fine scontato ma che riesce a rendere in questo modo più tangibile un argomento di estrema serietà. Io, Capitano ci obbliga ad affrontare la realtà in modo schietto, senza alcuna scusa, un’opera che dovrebbe essere proiettata in ogni paese, mostrata a ogni governo, a ogni politico, condivisa e dibattuta con ogni cittadino.

È un potente richiamo all’azione, un film che ci ricorda la nostra responsabilità collettiva nel perseguire soluzioni significative per le sfide contemporanee, e un promemoria di quanto il cinema possa influenzare il cambiamento sociale.

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