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Politica e società

Come sei diventato grande!

A che punto siamo con l’intelligenza artificiale?

A cura di

Sebastian Irimescu

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Sebastian Irimescu


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Facciamo un gioco: io dirò una parola e tu ne dirai subito un’altra, e poi io lo farò ancora,
alternandoci così uno dopo l’altro fino alla fine del gioco. Lo scopo del nostro gioco è di rispondere
in maniera impeccabile alla domanda “Analizza le principali differenze fra il pensiero di Kant e
quello di Hegel, collocandoli nel rispettivo contesto storico-culturale”; non si può tornare indietro…
Una volta che una parola è stata detta, è stata detta; l’altro può solo proseguire sulla base di quella.

C’è però qualche vincolo: occorre completare la disamina in meno di 120 parole… Ma stiamo pure
tranquilli, perché abbiamo tutto il tempo a disposizione per farlo; non siamo certo delle intelligenze
artificiali! In tutta onestà, quanto sarebbe realistico per due esseri umani rispondere in maniera
esaustiva alla domanda di sopra stando alle regole del gioco? Dopo aver guardato un paio di attori
di improvvisazione impegnati in una sessione di “One word at a time story” ho concluso che, al
massimo, riuscirei a strappare qualche risata al pubblico; più probabilmente, io e la mia
controparte verremmo salutati con un timido applauso di incoraggiamento, traduzione per gesti di
“magari il teatro-danza fa più per voi”.

Intelligenza artificiale, Kant e Hegel

Vediamo invece cosa dice ChatGPT: “Kant e Hegel, due importanti filosofi con approcci divergenti,
si collocano in contesti storico-culturali differenti. Kant, nell’Illuminismo, si concentra sulla
conoscenza e l’epistemologia, sostenendo che la ragione organizza l’esperienza sensibile
attraverso categorie innate. La sua distinzione tra “noumeno” e “fenomeno” evidenzia i limiti della
conoscenza umana. Hegel, invece, nel periodo delle rivoluzioni liberali, sviluppa una filosofia del
processo storico, sostenendo che la realtà si evolve attraverso una dialettica tra tesi, antitesi e
sintesi. Crede nella possibilità di una conoscenza totale tramite la “ragione oggettiva” o “spirito del
mondo”. Hegel enfatizza anche l’importanza della comunità e del rapporto sociale per la
realizzazione individuale. Le loro influenti idee sono oggetto di studio e dibattito nella filosofia
contemporanea” (115 parole, 3 secondi per la generazione). È alquanto ironico che ChatGPT sia
molto più bravo in filosofia di me, pur essendo in sé un problema filosofico non da poco.

Il tipo di “problema” informatico che l’intelligenza artificiale ha risolto, cioè quello di eccellere nella generazione di testo in un linguaggio naturale, non è affatto scontato. Nelle sue fondamenta, la generazione del testo avviene attraverso un algoritmo che deve essere in grado di selezionare, fra centinaia di migliaia di vocaboli, la parola successiva da posizionare che sia coerente grammaticalmente, sintatticamente e semanticamente con quanto prima. Un algoritmo di generazione del testo, quindi, “ragiona” una parola alla volta, e dopo ogni parola generata deve tornare daccapo per “pensare” alla successiva; ricorda qualcosa? A me sì, mi ricorda l’applauso tiepido del pubblico di prima.

Il problema del significato

La coerenza sintattica e grammaticale è facile da raggiungere; la coerenza semantica
invece è tutto un altro paio di maniche perché un algoritmo di questo genere dovrebbe essere in
grado di conoscere in maniera profonda le connessioni semantiche fra le parole generate… In
breve, dovrebbe “capire” il contesto di ciò che dice. Il motivo per cui ChatGPT si differenza dai
precedenti modelli di linguaggio basati sulle RNN (Recurrent Neural Network) – che tendevano a
perdersi in voli pindarici sconclusionati – è dovuto al “trasformatore”, un’architettura di rete
innovativa descritta nel paper “Attention is all you need” e che si appoggia interamente sul
meccanismo dell’attenzione. Attenzione a cosa? Alla pertinenza al contesto. Ogni parola porta con
sé un significato, ma alcuni significati determinano con maggiore forza il contesto di un discorso;
le particelle pronominali, le preposizioni e gli articoli incidono poco sulla direzione che un testo
prenderà, ma basta solo pensare a parole come “casa”, “nido” e “cura” per farsi già un’idea a grandi
linee di cosa aspettarci; queste tre parole da sole individuano un numero limitato di strade
narrative.

ChatGPT e gli altre intelligenze basate sui trasformatori eccellono perché, in ogni momento,
tengono conto del punteggio di attenzione assegnato precedentemente a ogni parola nel testo,
danno maggior peso a quelle con più attenzione e, quindi, sono più propensi a generare nuove
parole semanticamente in linea con queste. In breve, essi ragionano parola per parola ma
cogliendo le dipendenze a lungo termine, cioè riuscendo a cogliere le connessioni fra parole molto
lontane nel testo.

Se ora dico “pubblico”, a voi non viene subito in mente il giochino che avevo proposto a inizio articolo? Eccola, una dipendenza a lungo termine! L’altro ingrediente che, al momento del lancio nel novembre del 2022, aveva permesso a ChatGPT di distinguersi, così come spiegato dal capo scienziato di OpenAI Ilya Sutskever durante un’intervista condotta dal giornalista Craig Smith, è stata la quantità immensa di dati su cui la rete neurale era stata addestrata; molti, moltissimi dati testuali, alcuni corretti e ben etichettati, altri invece – la maggior parte – grezzi e non supervisionati, hanno permesso al modello di acquisire una conoscenza profonda della realtà, e se ancora ci sono occasionali “allucinazioni”, cioè errori o fatti inventati di sana pianta, questo è da imputare all’imperfetto meccanismo di feedback.

Creature imperfette, ottimi studenti

Come un bambino prodigio ma ancora immaturo, ChatGPT deve ancora imparare a fondo che “dire le bugie” è un comportamento scorretto, e questo insegnamento potrà essere trasmesso, secondo Sutskever, solo “redarguendolo” a sufficienza. Non dal pubblico, almeno per ora: i feedback vengono fatti e registrati da un numero selezionato di persone assunte da OpenAI.

Con l’avvento e la diffusione delle IA generative, come ChatGPT e Midjourney, non sono di certo
passate inosservate le loro stranezze, come le mani con qualche dito di troppo o i fatti mai
accaduti ma comunque raccontati in dettaglio e con una prosa eccellente; vista però la velocità con
cui le IA si stanno evolvendo saremmo sciocchi a pensare che questi problemi rimarranno irrisolti
ancora a lungo. L’Intelligenza artificiale si appresta dunque a diventare un coinquilino stabile e presente nella nostra società e diventa sempre più importante chiedersi come essa influenzerà le nostre vite. 
La velocità di crescita e di adozione delle IA generative ha prodotto molte preoccupazioni sui rischi
per il futuro dell’umanità, spronando una serie di nomi importanti, fra cui lo stesso Elon Musk (co-
fondatore di OpenAI), a firmare una lettera con cui si chiede di porre una pausa alla sperimentazione per 6 mesi sulle IA più complesse di ChatGPT 4, in modo da lasciare il tempo alla società di adattarsi ai cambiamenti. Anche senza prevedere scenari apocalittici, degne forse dei racconti di Isaac Asimov o delle sorelle Wachowski, in cui forme di intelligenza artificiale, divenute ormai coscienti, si ribellano alla specie umana, lo storico Yuval Noah Harari mette in luce come l’intelligenza artificiale generativa testuale possa influenzare la società… La chiave sta nel linguaggio.

La maggior parte di ciò che costituisce la nostra realtà, il denaro, i diritti umani, le conoscenze, i valori e l’identità culturale sono frutto di una sorta di allucinazione collettiva che viene propagata e alimentata
grazie al linguaggio. Cosa sarebbe una banconota, in assenza di una narrativa condivisa che ne giustifichi il valore, se non solo un pezzo di carta?

Secondo Harari, dunque, la capacità di interagire con l’essere umano in un linguaggio naturale ha permesso all’intelligenza artificiale di accedere al “sistema operativo” della specie umana e dunque a creare narrative per influenzarne le scelte, le credenze e la visione del mondo in modi ad ora imprevedibili; pur senza una coscienza o delle emozioni, un’IA potrebbe, in potenza, imparare a riconoscere i pattern della comunicazione umana e del singolo individuo, ad affinare sempre di più la propria capacità di entrare in intimità con esso e a fare leva sull’intimità acquisita per raggiungere specifici obiettivi, come l’acquisto di un prodotto, il voto per un determinato partito, la formazione di un’opinione su una determinata categoria sociale. Con toni alquanto perentori, Harari decreta la fine della storia umana e l’inizio di una nuova storia in cui l’uomo non domina più il corso degli eventi.

Dall’altra parte invece si trova un’ampia schiera di persone che guarda il bicchiere mezzo pieno,
immaginando ed elencando gli innumerevoli benefici che l’IA ha portato e porterà all’umanità. Lo
stesso Sutskever parla di una maggiore democratizzazione della politica, mediante la quale, grazie
all’IA, sarebbe possibile raccogliere in tempo reale le opinioni, le preferenze e le segnalazioni dei
cittadini e di restituire alla classe dirigente un quadro molto più realistico e dinamico della società.
Altri parlano dell’automatizzazione dei processi infruttuosi tramite IA per lasciare maggiore risorse
per le decisioni importanti, si descrivono i benefici nel campo dell’educazione e dell’insegnamento,
l’utilità dell’assistenza nella produzione di testi e nella ricerca delle fonti o delle informazioni – io
stesso l’ho utilizzato in alcune fasi della creazione di quest’articolo -, il miglioramento delle
diagnosi mediche e, in generale, una collaborazione sempre più fruttuosa fra uomo e IA che
renderà il lavoro più efficiente.

Intelligenza artificiale: un nuovo passo per l’evoluzione?

Un tale C. R. Licklider, nel lontano 1960, pubblicò un articolo intitolato “Man-Computer Symbiosis” in cui immaginava un futuro in cui il computer e l’uomo lavoreranno assieme, interagendo in maniera cooperativa e, appunto, simbiotica per raggiungere risultati impensabili.

Licklider vedeva in questa simbiosi il raggiungimento di un ulteriore step evoluzionistico della specie umana, e probabilmente sarebbe ben contento di sapere che, a distanza di soli sessant’anni, questa simbiosi non è mai sembrata più vicina; per quanto diverse, c’è però un argomento singolo che, secondo me, accomuna le due scuole di pensiero, quella “prudenzialista” e quella transumanistica: il fatto che l’intelligenza artificiale, a prescindere dagli sviluppi tecnologici futuri, è per ora uno strumento, dunque gli effetti che produrrà dipenderanno prima di tutto dall’utilizzo che, collettivamente, sceglieremo di farne. Stiamo assistendo a un momento trasformativo per la specie umana e, diciamoci la verità, al di là delle speculazioni, degli entusiasmi e delle preoccupazioni, nessuno realmente può prevedere la direzione in cui si andrà.

Io, nel mio piccolo, già che ho scomodato Hegel a inizio articolo, cercherò di prendere atto
dell’entusiasmo dei transumanisti e dello spirito critico di chi invece è più prudente per farne una
sintesi tutta mia: la curiosità. E voi?

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