Città

Politica e società

Le città vendibili

Come la gentrificazione continua a cambiare il volto urbano dell’Italia

Articolo estratto dalla rivista N°02

A cura di

Nicolò Guelfi

Immagini di

Lorenzo Guerrieri


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Affitti esorbitanti, emergenza sfratti, aumento dei senzatetto, la conformazione delle città che cambia. In Italia ormai da anni è in atto un processo inesorabile che sta cambiando i grandi centri urbani, si articola su più livelli e porta conseguenze sempre più evidenti. Per capire meglio, come in tutte le cose, può essere utile partire dal lessico.

Cosa significa “Gentrificazione”?

Il termine “gentrification”, citato per la prima volta nel Regno Unito dalla sociologa inglese Ruth Glass nel 1964, deriva dalla parola “gentry”, che sta ad indicare le persone di un ceto sociale elevato, la cosiddetta “piccola nobiltà”. Il fenomeno si concretizza nel momento in cui nasce un interesse della parte più abbiente della popolazione per andare a vivere nelle zone periferiche, dove la vita costa meno, trasformando quel luogo da proletario a borghese. In pratica: ridisegnare uno spazio urbano, ma solo per chi è in grado di spendere.

Uno degli aspetti più evidenti è la trasformazione degli ambienti industriali (fabbriche, officine, lanifici, opifici, manifatture etc.) in spazi di incontro e intrattenimento (alberghi, sale conferenze, club di musica dal vivo e gallerie d’arte). Oggi questo fenomeno risulta evidente nelle città metropolitane dove il settore secondario era più sviluppato: gli esempi maggiori sono nel nord-ovest con Milano, Genova e Torino, ma si presenta anche altrove. 

Le città senza cittadini

Ulteriore tassello nel processo è la presenza di una numerosa popolazione residente, ma anche di una grande quantità di persone “di passaggio” per ragioni di turismo, studio e lavoro. I primi tendono ad abbandonare il centro storico (con costi più alti e minori servizi) per lasciarlo ai secondi, sfruttando il vantaggio della rendita delle case di proprietà. Un esempio lampante è Firenze, dove il centro storico da anni non è più abitato dai fiorentini, i quali scelgono in prevalenza di vivere fuori città, magari in abitazioni più grandi e confortevoli.

Il problema è stato evidenziato da Ilaria Agostini su Perunaltracittà.org: «L’assessore milanese Piergiorgio Maran accolto dal Comune di Firenze, caldeggiava l’opportunità di favorire il ricambio della composizione sociale della città; di “rompere i conservatorismi dei singoli cittadini”; di attrarre cittadini temporanei, dinamici, competitivi, in una parola (a suo dire) “progressisti”. Meglio se cittadini che non investono le proprie aspettative di lunga durata sulla città. Meglio ancora se cittadini non votanti».  

Spingere gli abitanti fuori dai centri urbani per attirare studenti fuorisede e turisti (che non possono esercitare i loro diritti politici in quel Comune), è utile al mercato, ma di certo non alla vita e allo sviluppo della città stessa.

Spike Lee e Cristoforo colombo

Da qui deriva anche la necessità di rivalutare le periferie urbane, luoghi segnati da un immaginario di degrado, criminalità, povertà e disagio sociale, ma dove chiaramente il mercato immobiliare è favorevole e la vita costa meno. Giovanni Semi, professore di Sociologia e di Culture urbane all’Università di Torino e autore del libro GentrificationTutte le città come Disneyland? ha utilizzato una citazione del regista afroamericano Spike Lee che rende molto bene l’idea:

«Spike Lee ha parlato di “Sindrome di Cristoforo Colombo” in riferimento ai ricchi (bianchi) che si trasferivano a Brooklyn negli anni ‘80 e la vedevano come una terra inesplorata ed esotica, senza rendersi conto che i poveri (neri) abitavano stabilmente lì già da tempo e ne costituivano la storia e il tessuto sociale. Tutto ciò svilisce queste realtà».

La città di firenze e la Manifattura Tabacchi

Il capoluogo toscano offre un nuovo caso di scuola di gentrificazione: la Manifattura Tabacchi, in via delle Cascine. Lo stabile di architettura razionalista risale all’epoca fascista e ospitava proprio la sede della produzione di sigari toscani. Chiuse le attività nel 2001, circa venti anni dopo è stato rilevato da una joint venture che vede la partecipazione di Cassa depositi e prestiti. Oggi è la sede di convegni ed eventi di alto profilo.

Se da un lato la riqualificazione di vecchi edifici industriali è un’operazione utile che li strappa al degrado e allo spreco, la nuova vita a cui vengono destinati (con l’utilizzo di soldi pubblici) suscita perplessità. La periferia è la parte socialmente più debole, dove gli abitanti avrebbero bisogno di luoghi di aggregazione pubblici e gratuiti. Mentre gli spazi liberi a Firenze diminuiscono (come nel caso di Piazza Santo Spirito), si moltiplicano invece i locali a pagamento. Inoltre in Italia l’emergenza abitativa si sta facendo sentire: sempre più persone non sono in grado di permettersi un’abitazione dignitosa in cui vivere.

Riqualificare, ma solo per chi ha soldi

Il punto è centrale, come affermano Edoardo Calamassi e Lorenzo Villani su Perunaltracittà.org: «Restituire alla città e al quartiere un complesso costruito dalla dittatura fascista questo sì, sarebbe stato – per citare i tipi di Manifattura Tabacchi – un “progetto” di vera, non demagogica, “riqualificazione urbana”». 

Il discorso prosegue: «Eppure Stato e amministrazione cittadina, a fronte nella sola Toscana di ben 150mila famiglie in stato di precarietà abitativa, decidono di continuare a guardare dall’altra parte: invece di costruire case e scuole per tutti, svendono, lasciando Ferragamo (Polimoda), Louis Vuitton (Istituto dei Mestieri d’Eccellenza Lvmh) e gruppi d’investimento immobiliare come Aermont Capital costruire “campus” e “loft esclusivi” per i soliti pochi. Si giustifica tutto ciò in nome della lotta a quel generico “degrado” del resto reso possibile e consolidato dalle medesime politiche classiste che chiedono “riqualificazioni” in forma di “residenze di design per un’esperienza unica” che si vorrebbero “una realtà inedita per il capoluogo fiorentino, un valore aggiunto per i suoi abitanti e per il territorio”». 

La casa è un diritto, non un lusso

Avere una casa dignitosa in cui abitare non è un lusso per persone benestanti, ma un diritto sancito dalla Costituzione all’articolo 14. Diritto che si è assottigliato nel corso del tempo, probabilmente a causa di un processo in cui lo Stato si è sottratto al proprio ruolo pubblico di regolatore del mercato immobiliare e delle trasformazioni urbane. Le città si sono svuotate dei propri abitanti, vendute al migliore offerente per essere popolate di fuorisede, i quali però vivono in condizioni sensibilmente peggiori e a costi più alti. Lo Stato ha fallito nel garantire una vita dignitosa a tutti e ha contribuito a costruire una colpa sociale intorno alla povertà. 

Oggi sono sempre più numerosi i comitati nelle grandi città (come Prendocasa a Torino o Blocco a Firenze) che cercano di difendere il diritto all’abitare e di combattere il fenomeno della gentrificazione che, se completamente sregolato, porterebbe beneficio solo ai più ricchi, aumentando le disuguaglianze. Questa operazione è importante non per difendere la morosità o stare dalla parte dei poveri per compassione: serve a ristabilire la casa come diritto fondamentale. “Casa” non è solo la struttura che fornisce riparo, ma è il luogo, fisico e ideale, che permette di localizzare la memoria, svolgendo così un ruolo centrale nel processo di costruzione di una vera comunità. 

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