A cura di

Maria Golinelli

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Potrei apparire come una dimenticanza, un ricordo del Natale passato che giace tuttora abbandonato a decoro della città, in una stagione che non è la sua.

È facile vedermi come una stella natalizia fuoriluogo… sono anche rossa! Ma il mio è un rosso diverso. Non sono una luminaria di Natale e non faccio nemmeno parte di quelle scritte sospese lungo le vie del centro che citano i versi di Lucio Dalla.

Io sono la stella rossa di via del Pratello: sono il simbolo vivo di ciò che ho attorno.

Da quassù osservo la vita di questa strada antica e popolare del centro storico di Bologna, tenuta appesa da fili di ferro su cui spesso sostano i piccioni.

Ho visto generazioni cambiare, mode andare e venire. Il Pratello è uno strano posto dove il tempo sembra ancora sospeso, mantiene ancora quell’autenticità originale nonostante i tanti cambiamenti avvenuti. Un rifugio per chi non si accontenta, per chi cerca qualcosa di più di una semplice serata, cuore pulsante di notti infinite fatte di bevute, discussioni appassionate e abbracci improvvisati tra sconosciuti che qui, davanti a me, diventano amici.

Sono stata installata 6 anni fa, costruita a Salerno. Inizialmente mi fecero in legno poi dopo qualche tempo durante un intervento di manutenzione accidentalmente mi sono rotta e la mia struttura è stata sostituita da una in metallo.

Sono una catena luminosa di fili di luci LED rosse a forma di stella. La mia esistenza è legata al Barazzo, un noto bar e storico punto di ritrovo di molte persone qui. Sta sotto i portici proprio di fronte a me e provvede alla corrente per farmi funzionare. Sono i gestori ad avermi voluta e sono loro a occuparsi di me.

Sono appesa su via del Pratello all’incrocio con via Pietralata. Sono un punto di riferimento, un luogo perfetto per un selfie, una fotografia-cartolina. In tanti si danno appuntamento sotto di me nonostante la mia luce non illumini niente.

Non ho un uso funzionale.

Alla mia sinistra è fissata una T luminosa: la sua luce è bianca e fievole, è l’insegna del tabaccaio all’angolo. Dalla sua posizione può vedere tutta via Pietralata che taglia in perpendicolare via del Pratello. Io invece vedo solo via del Pratello, che si stende dietro e davanti a me. La luce del sole mi illumina tutto il giorno, dall’alba al tramonto sulla chiesa di San Rocco.

Proprio sotto il portico, a ridosso del tabaccaio, c’è un piccolo bidone dell’immondizia di ferro: vedo la gente buttare le cose che non servono più, soprattutto bicchieri di plastica, carte e confezioni di cibo d’asporto.

Guardandomi intorno credo di essere stata posizionata in un punto fortunato, ho una visione privilegiata di ciò che succede in questa via.

Giorno e notte vedo corpi muoversi, discutere, mangiare: hanno storie e funzionamenti di grande interesse e fascino per me. Non sono mai sola, qui c’è gente di tutte le età e categorie, ma noto soprattutto che sono i maschi a popolare questo luogo.

Vengo accesa ogni sera alle 20,30. Quando sono spenta, mi piace osservare questa strada e chi la percorre. Quando, invece, di sera finalmente mi accendo e la mia luce si mescola a quelle dei locali, l’atmosfera inizia a scaldarsi e tutto intorno a me piano piano sembra prendere vita. La via si anima di persone e io posso splendere sopra le loro teste. La mia luce rossa si rifrange sui bicchieri sollevati nei brindisi mentre le risate si rincorrono tra i tavolini.

Ogni tanto mi capita di cogliere frammenti di chiacchiere che risuonano dal bar o sotto le colonne scrostate dei portici piene di scritte a pennarello. Parole scambiate fra persone che hanno ancora voglia di fermarsi e dimenticare le mille cose da fare per sopravvivere.

Spesso la mattina presto tira un po’ di vento e io oscillo dolcemente: arrivo quasi a udire il tintinnio degli scacciapensieri in legno e in metallo appesi sul terrazzo poco più avanti lungo via Pietralata e gli autobus che iniziano a circolare veloci su piazza Malpighi.

E’ il momento in cui arrivano le sfogline che subito si mettono al lavoro per preparare la pasta fresca da Naldi e servirla ai clienti per strada nell’ora di pranzo, affacciandosi alla piccola porta che dà sulla via. Ogni volta che un ordine è pronto la signora chiama il nome e il cliente si avvicina per ritirare un piatto di tortellini in brodo, lasagne, tagliatelle al ragù. La strada intera si riempie di profumi gustosi.

La gente viene qui per mangiare, sembra che il Pratello si sia convertito in un parco tematico del cibo. Ho visto questo quartiere trasformarsi, prima lentamente, poi all’improvviso. All’inizio erano turisti con le guide in mano, spaesati ma curiosi, che chiedevano indicazioni per San Luca. Poi sono arrivati i dehor, i tavolini che si sono allargati come macchie d’olio lungo la via, poi le file davanti alle trattorie che una volta in pochi conoscevano. Io stessa sono circondata da nuovi ristoranti, bar e pizzerie e guardo persone mangiare a ogni ora del giorno e della notte.

Ho sentito la lingua cambiare: sempre più inglese, sempre meno dialetto. Ho visto botteghe chiudere, serrande abbassarsi, e al loro posto aprire locali con nomi inglesi.

La riqualificazione urbana, le opere di street art, la ripavimentazione delle strade e l’illuminazione migliorata hanno reso la zona sempre più attrattiva e costosa. Il quartiere si è spopolato dei residenti e ha fatto spazio a monolocali per gli affitti brevi.

Il cibo si è mangiato via del Pratello: sta cancellando gli spazi e trasformando la città in un inferno di gente affamata.

Qualche anno fa la strada era popolata soprattutto da giovani studenti: li vedevo passare sotto di me con i loro zaini pieni di libri, si fermavano nei tavolini dei bar per studiare e bere caffè. Ora invece una moltitudine di stranieri attraversa la via tutti i giorni per scoprire la cultura gastronomica di questa città, mossa dalla ricerca della tradizione, del piatto iconico più buono. Li vedo passeggiare con i loro piatti d’asporto o sedersi nei dehor, soddisfatti e compiaciuti mentre consumano il loro pasto.

Oltre che dai turisti, durante le ore serali la via è affollata anche dalle molte biciclette che trasportano e consegnano cibo. I tanti locali della via chiamano il lavoro dei rider. Tuttavia le mura strette della strada e il traffico pedonale non consentono un passaggio agevolato agli altri mezzi e spesso, proprio sotto di me, avvengono scontri, diverbi o intoppi del traffico.

Si dice che questa via debba il suo nome alle piante di pero che caratterizzavano la zona: era denominata Peradello che significa luogo alberato da peri, proprio come le vicine vie Nosadella e Frassinago dove crescevano rispettivamente alberi di noci e frassini.

Ora qui è tutto cibo, asfalto e movida ma c’è stato un tempo in cui via del Pratello era animata da solidarietà di classe e vita comunitaria tra i residenti.

La clandestinità e la Resistenza, la Liberazione e il dopoguerra, l’osteria dove si pagava a tempo, l’ex manicomio Roncati con i letti di contenzione, le prostitute e i bordelli, i dormitori pubblici per i senza fissa dimora, il circolo Pavese, Radio Alice, il carcere minorile, le case occupate, il cineclub L’Angelo Azzurro che diede vita al cinema Lumierè, il Circolo della Pace, Osvaldo prima pescivendolo poi oste, il barbiere, il calzolaio, l’edicola di Lino hanno rappresentato nel corso degli anni la storia mitologica e i punti di vista diversi del Pratello, un luogo in cui si veniva per prendersi il tempo della libertà. Un paese dentro la città.

C’è stato un tempo in cui sentivo spesso musica suonata live provenire dai locali e io danzavo a ritmo illuminando la via.

Ho assistito a innumerevoli discussioni politiche sotto i portici, alle notti di poesia nei locali storici come il Montesino. A quell’epoca sentivo storie incredibili, vedute pittoresche di una variegata umanità. Un popolo a parte, certo, un rimasuglio di mondo destinato all’estinzione, ma non ho più potuto fare a meno di questo clima, di quest’aria di libertà.

Come spiegarlo al resto della città, frenetica e affannata dal dimostrare di essere sempre più ricca, che al Pratello si difende la dignità della povertà?

Guardo i tetti sopra di me: mi chiedo spesso se la Bologna che ho conosciuto sia destinata a sparire, inghiottita dai dehor e dalle insegne luminose.

Forse anche io sono stata messa qui come attrazione, abbellisco la via per chi viene a visitarla, sono funzionale all’immagine che la città vuole dare di sé. Credo che il mio lavoro sia apprezzato perché è utile a creare un’atmosfera di festa e di leggerezza. Proteggo chi si stringe sotto i miei raggi trovando calore nella compagnia che offre il luogo. Funziono benissimo e non c’è apparente ragione di non farmi restare dove sono.

C’è un giorno in particolare in cui mi sento vista davvero.

Ogni 25 Aprile la strada sotto di me si riempie di canti, bandiere e abbracci per la festa della Liberazione. Durante tutto il giorno vengono installati su tutta la via stand politici e di associazioni volontarie, bancarelle che vendono cibo, oggetti fatti a mano, vestiti e accessori di seconda mano. Sul palco di Piazza San Rocco si alternano letture, interventi pubblici e concerti. Vedo generazioni diverse unirsi per ricordare la Resistenza, sento le voci alzarsi in coro e la speranza accendersi negli occhi di chi passa.

Striscioni colorati che sfilano tra i muri, slogan che rimbombano tra i palazzi. Sento il battito del Pratello accelerare, la strada trasformarsi in un fiume di persone che non hanno paura di farsi sentire. Sono momenti di energia pura, di passione collettiva. Una festa che dura un giorno e una notte, una festa dove tutti mi guardano, dove la mia luce sembra splendere più forte.

La vicinanza con la lapide commemorativa ai partigiani su via Pietralata fa sì che la gente si raduni sotto di me: in particolare, ogni anno i bambini delle scuole si ritrovano la mattina per cantare i canti partigiani. Quest’anno indossavano pure la kefiah per celebrare la resistenza palestinese. Tutti i loro occhi sono rivolti a me mentre intonano Bella Ciao, io sono felice e, anche se sono spenta, mi sento utile. E’ come se fossi qualcosa di più di una semplice decorazione luminosa.

Il significato della mia presenza credo sia questo: ricordare l’antifascismo a questa strada, a chiunque la attraversi. Sono nata dal bisogno di ricordare la lotta contro il nazifascismo, ecco perché sono rossa. La mia forma a cinque punte celebra la Brigata Stella Rossa Lupo, una delle più importanti formazioni partigiane di Bologna protagonista della lotta armata per la Liberazione. Io sono un omaggio voluto dalla comunità del Pratello contro ogni forma di oppressione, a onore di chi ha combattuto per la libertà e la giustizia sociale.

Forse qualcosa di quel vecchio mondo è rimasto dentro questa via e io sono stata installata per ricordarlo. E se anche tra i residenti c’è chi mi vorrebbe smontare per questo, ogni notte io continuo a splendere del mio rosso orgoglioso. Nella mia luce rivivono la memoria, il valore della solidarietà e dell’impegno civile.

Il Pratello è l’ultimo pezzetto di una Bologna scomparsa, l’anima della città com’era stata un tempo, quando scendere in strada era ancora un modo per incontrare gente. Il Pratello è la Bologna come la si ama vedere dall’esterno: aperta, disponibile al dialogo, alternativa, innovativa, solidale.

Solo che, di quella Bologna lì, ne è rimasto appena un fazzoletto. Appena io.

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