
Politica e società
A non rivederci a settembre
Salve prof, sono Aurora della 2H.
Mi dispiace molto che lei non sia più la nostra Prof, era una delle poche persone vere che ho trovato a scuola e sono davvero felice di aver avuto il privilegio, seppur per poco, di avere lei come insegnante.
Ho iniziato a insegnare al liceo da giovanissima, avevo venticinque anni, era il 2020 e mi ricordo che in segreteria mi dissero “Lei deve fare lezione da casa”. Non ho avuto la possibilità di conoscere i miei primi studenti, né di chiedere consiglio o confronto ai miei colleghi, non avevo gli strumenti e l’esperienza per iniziare a fare lezione eppure i ragazzi mi hanno dato fiducia. In quelle classi virtuali ho dovuto fare affidamento solo sul mio istinto, mostrarmi per la persona che ero e forse questo mi ha reso l’insegnante che sono oggi, lontana dalle dinamiche tossiche che un ambiente scolastico può lasciare.
Questo articolo non parlerà della difficoltà dell’essere un docente supplente, dei calvari concorsuali o della lotta tra poveri per la conquista di una cattedra a vita. Leggerete un aspetto romantico e drammatico dell’essere insegnante precario, ovvero la fatica nel creare un prezioso legame umano con i ragazzi e la nostalgia reciproca di doverci lasciare a fine anno.
Il pensiero scritto da Aurora, una delle mie prime studentesse, offre diversi spunti su cui riflettere, in particolare modo sul sentimento di abbandono percepito quando si ha un insegnante supplente a cui si vuole bene e sul concetto di autenticità.
Quando si parla di affetto tra studenti e docenti nel contesto scolastico, bisogna ricordare che è il risultato di un lungo e faticoso percorso fatto di sacrifici, litigi, opinioni, di sincerità e fedeltà, ma soprattutto di fiducia e rispetto reciproco.
Per conquistare la fiducia degli studenti ci potrebbe volere anche un intero quadrimestre; vuol dire che a gennaio ancora non si è instaurato il rapporto necessario per lo scambio quotidiano tra chi è davanti e dietro alla cattedra e noi a giugno dobbiamo andarcene. Per i docenti supplenti la fiducia dei ragazzi è una continua ricerca, la rincorriamo pur sapendo che entrano in gioco fattori indipendenti dal nostro impegno.
Gli studenti vantano il grande talento di essere ermetici e criptici, a inizio anno noi figuriamo come intrusi in un gruppo già consolidato e ciò che dobbiamo guadagnare è il diritto di essere la loro guida e punto di riferimento. Immaginate di entrare ogni anno in un gruppo di amici che si conosce già da tempo, che ha condiviso momenti felici e tristi, esperienze e crescite. Immaginate il lavoro che dovreste ripetere ogni volta per ottenere il livello di confidenza che loro hanno maturato in più tempo, dovreste impegnarvi nel rendere quel gruppo di persone i vostri amici. Noi docenti spendiamo tempo, anima e voce per fare dei ragazzi i nostri studenti, ogni anno da capo.
Per avere fiducia è necessario instaurare un rapporto di rispetto reciproco e il rispetto degli studenti si manifesta solamente se essi percepiscono l’autorevolezza dell’insegnante. La fiducia è dunque un percorso costruito a tappe e ogni traguardo che si conquista è un valore caposaldo della didattica e della vita di scuola.
Ciò che fa di uno spazio un luogo sono le persone che ne fruiscono, le energie che emanano e la classe è un contesto estremamente particolare; dove ogni movimento, ogni sguardo, ogni parola dell’insegnante è presa in esame. Davanti al gruppo classe ci si sente nudi, spogliati e questo ci obbliga a essere trasparenti, autentici e dunque docenti credibili, rispettabili. Coloro che non calano mai la maschera o, addirittura, chi ne indossa una apposta appena varca la porta dell’aula, avranno con i ragazzi un invalicabile confine, una sfiancante quotidiana lotta per farsi considerare. Come si può far apprendere una disciplina se nemmeno si ha una considerazione come persona prima che come insegnante?
Quello che fa di un professore un efficiente insegnante è la sincerità verso se stessi e verso gli studenti, questo significa sapersi comportare in modo giusto. Non esistono studenti preferiti, anche il peggiore allievo ha il diritto di non essere “preso di mira”, i ragazzi non vanno catalogati in numeri, anche lo studente modello può permettersi di prendere un cinque. Arrivare puntuale a lezione, supportare i colleghi, restituire gli scritti in tempi corretti, avvisare gli studenti nei tempi adeguati e soprattutto ascoltare sempre le loro esigenze senza pregiudizi fa di una persona un docente autentico.
Solo adesso, solo quando si è costruita tutta questa impalcatura invisibile che ci sorregge nei rapporti umani, si può iniziare a insegnare la propria disciplina in modo che venga davvero appresa. Molti colleghi non credono più nelle capacità di apprendimento delle nuove generazioni, ma sono le stesse persone che non credono più nemmeno nell’alta dignità di questa professione. Il danno morale che questa condizione apporta è incalcolabile, pensate di avere come guida una persona che non ha più fiducia in quello che fa, mettetevi nei panni di chi ora ha quattordici anni e si trova senza punti di riferimento.
Una studentessa di scienze applicate lo scorso anno mi disse che solo grazie alla mia passione per la materia è riuscita a interessarsi alla storia dell’arte; dunque i ragazzi ci dicono che l’apprendimento passa prima di ogni altra cosa dall’entusiasmo, la curiosità e la vitalità di chi lo insegna. Da chi ci crede. Dal corpo docente.
Eccoci che siamo arrivati all’otto di giugno e noi insegnanti pensiamo già che, di tutto il lavoro svolto nell’anno, non potremo cogliere i frutti a settembre. Ecco che, senza nemmeno accorgercene, è arrivato il momento in cui tutti noi ci rendiamo conto del legame prezioso, dell’enorme lavoro costruito insieme e del dispiacere nel dirci addio. Perché tutti sanno che quel docente supplente non tornerà due anni consecutivi nella stessa scuola.
Le auguro il meglio e la ringrazio per quello che ha fatto per me e i miei compagni, nessuno di noi la dimenticherà.
Spero di rivederla e sentirla presto, un abbraccio.
