
Musica
La cosa più bella che può fare la scienza
Intervista a Luca Perri
A cura di
Haron Dini
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Il 1° Giugno, al Festival dei Cammini di Francesco a Sansepolcro, in provincia di Arezzo, si è svolto l’incontro con il noto astrofisico e divulgatore scientifico Luca Perri, conosciuto su Youtube e in tv per i suoi contenuti a tema scientifico. Una serata alla scoperta della scienza, in una piazza gremita di persone.
Come nasce il Luca Perri che ora tutti quanti conosciamo nel web come Astrowikiperri?
Il Luca che conoscete, quindi quello più divulgativo, nasce per il fatto che io sono nato in zona Bergamo. In questo luogo esiste “Bergamo Scienza”, e nel suo piccolo è il festival più vecchio d’Italia dal punto di vista scientifico. Insieme alla scuola, io scopro proprio così il tema della divulgazione, ma in realtà, forse, ben prima, perché già da piccolo leggevo sempre un libro di Piero Angela. Alla fine mi iscrivo come volontario proprio per “Bergamo Scienza”. In quel periodo facevo lo steward, quindi spostavo persone negli eventi. All’epoca studiavo fisica, e ricordo che, sempre lì a Bergamo, c’era una mostra della scienza sulla NASA e dell’ESA su satelliti e esplorazione spaziale. In quel momento però c’è un problema: mancano delle guide, e mi scelgono. Da lì tutto ebbe inizio come animatore di laboratori di altri, poi come proponente di laboratorio, poi come relatore e alla fine, per conoscenza, come coordinatore scientifico.

Come nasce la tua passione per l’astrofisica?
Partiamo da un presupposto: io ho una madre che insegnava fisica. Di conseguenza nasco in una casa piena di libri di fisica, quindi o mi facevo piacere la fisica o mi sparavo (ride ndr). Lo cito di nuovo, avendo letto “Viaggio nel Cosmo” di Piero Angela a dieci anni, in quel momento decido che mi piace l’argomento delle stelle e poi, soprattutto, per me a scuola la fisica era facile grazie a mia madre, e sono arrivato al liceo che, praticamente, non avevo bisogno di aprire un libro. Nella mia testa era facile ed era anche un bel gioco, ma come ogni cosa anche qui ci sono state delle difficoltà di percorso, ma poi le ho superate e ho deciso di inseguire questa passione.
Hai lavorato con il compianto Piero Angela, adesso invece collabori proprio con il figlio, Alberto. Come inizia questo rapporto professionale?
Prima io lavoravo in RAI. Tra un misto di coincidenze, e venendo iscritto da una mia collega a un concorso di divulgazione internazionale chiamato “famelab”, vinco le nazionali in cui c’era anche la RAI presente a riprendere. Nel 2016 faccio un post che diventa virale sui social e alla fine la Rai mi invita a discuterne al telegiornale, e da lì inizia ufficialmente la collaborazione con l’ente televisivo. Da quel momento ho lavorato per Rai cultura e Rai scuola, e Piero Angela mi seleziona come uno dei co-conduttori di Superquark+. Tutt’ora collaboro con suo figlio, Alberto, che anche lui mi ha selezionato per “NOOS – L’avventura della conoscenza” in onda su Rai 1, ormai arrivata alla terza stagione.
Sei tra i “big” della divulgazione scientifica, insieme a Amedeo Balbi, Adrian Fartade di Link4Universe, ma soprattutto Barbascura X, con cui hai collaborato in varie occasioni. Ti aspettavi tutto questo successo?
No, ma perché, io non pensavo sarei finito sui social. In realtà io ho un’avversione per il mondo social, per una serie di ragioni: sono cresciuto divulgativamente parlando nei Festival, il che vuol dire che io preferisco di gran lunga l’interazione dal vivo. Per esempio: se io faccio una battuta e la gente non ride, la scarto. Se faccio un’analogia e vedo “l’elettrocefalogramma” piatto delle persone, ovviamente scarto quella analogia perché non sono stato chiaro. In realtà la gente mi dà sempre un feedback direttissimo, mentre i social no.
Però le persone sono sempre molto entusiaste nella sezione commenti dei tuoi video.
Sì, devo dire che è una cosa inaspettata, e il fatto che ci sia stata la possibilità di far sviluppare e crescere una community che al 98%-99% è costruttiva, anche nelle critiche, perché io le accetto super volentieri, è sempre bello. Il problema è sempre quel 1%-2% che inquina il dialogo. Abbiamo stabilito che l’educazione nei social passa in secondo piano, mentre dal vivo no, perché sennò verresti cacciato da un eventuale evento. Quello che mi ha sorpreso molto è che io sia riuscito a trovare una community molto costruttiva. Non mi interesso del numero, ma della qualità.
Oltre al pubblico degli appassionati, c’è anche quello degli ignoranti che spesso esprime tesi antiscientifiche e rimane ancorato alle proprie posizioni. Tu cosa pensi a riguardo? Ma soprattutto, come affronti questo tipo di pubblico?
Il problema è che buona parte di quel pubblico lo abbiamo creato noi scienziati in passato, purtroppo. Per un sacco di tempo, e anche con una certa arroganza, ci siamo detti come comunità scientifica che non aveva senso perdere tempo per stare lì a spiegare certe cose a gente che non le avrebbe capite. Quindi abbiamo ignorato i dubbi, abbiamo ignorato le domande e abbiamo risposto male, perché sì, è capitato anche quello. La conseguenza è stata che abbiamo polarizzato parte di quel pubblico chei, a un certo punto, se inizi a stare antipatico come persona, non ti ascolterà a prescindere da quello che dici. Nonostante tu possa portare delle soluzioni. Noi scienziati fingiamo di essere razionali ma in realtà non lo siamo, quindi, purtroppo, è colpa nostra. Poi, in un certo momento in cui si poteva recuperare un rapporto è arrivato il covid, e questo non ha aiutato di certo. Anche perché dal punto di vista mediatico, il giornalismo che doveva rispettare delle linee guida in realtà non le ha rispettate, e se si intervista persone solo per il semplice “share” è evidente che il pubblico perda di fiducia.
Tra le altre cose, si chiede fiducia alla scienza, se la si dà, anche. Se a mia volta, io rispondo “tu questo dubbio non lo devi avere sennò sei un ignorante” non andiamo da nessuna parte. Quindi secondo me il covid ha arretrato il dialogo che si stava ricostruendo di almeno 10 anni.
Come lo si affronta? Per quanto mi riguarda, lo si affronta rispondendo il più possibile. Anche il complottista di turno, se è educato può farmi tutte le domande che vuole, e può provare a mettermi in difficoltà tutte le volte che vuole, e magari ci può anche riuscire, ma finché c’è un dialogo possiamo discuterne in maniera pacata anche 12 ore. Può capitare che io non possa convincere qualcuno su una specifica cosa, ma almeno quel qualcuno si convince che io non sia in cattiva fede.

Esiste il classico detto “da grande voglio fare l’astronauta”. Ecco, se un ragazzo o una ragazza volesse intraprendere un percorso scientifico, per poi farlo diventare un lavoro, tu che cosa consiglieresti?
In ambito scientifico la situazione è sempre più fluida. Secoli fa, lo scienziato aveva diverse formazioni: dalla matematica, alla biologia, alla fisica. Poi il tutto si è spostato verso l’iper-specializzazione, e può capitare che qualcuno abbia il dottorato in astrofisica però ha delle mancanze in cosmologia profonda. Adesso, per fortuna, ci troviamo in un’epoca dove c’è la multidisciplinarietà, quindi in tutto questo clima dove tutto può mutare, io consiglierei di non vivere le scelte come definitive, soprattutto quando si è giovani e si sta scegliendo il futuro. Non vivere tutto come una condanna perché tanto nessuno verrà a controllarti in quanti mesi ci hai messo a fare determinati esami. Se anche cambi idea dopo un anno, nessuno ti dirà che hai perso un anno, ma solo su quanto tu sia bravo o brava alla fine del percorso. C’è sempre un modo per sfruttare le competenze che hai preso da una parte. Io sono finito a fare astrofisica e divulgazione in un momento in cui questi non esistevano come lavoro. Adesso, invece, esistono.