Venezia

A cura di

Moreno Hebling

Immagine di

Juliet Boom e Moreno Hebling


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Volendo parlare di isole il caso di Venezia non può essere tralasciato, principalmente per la sua natura ibrida e molteplice.

Pur essendo un’isola (o meglio, un insieme di isole) non è per niente isolata. La sua

raggiungibilità non glielo permette. Vi si può arrivare tanto in autobus quanto in treno, ma anche in automobile, scooter e bicicletta. Volendo, il ponte della Libertà, che collega la terraferma a Venezia, può essere fatto a piedi. Questo già in sé basterebbe a considerarla quasi una penisola, piuttosto che un’isola in senso stretto.

Tuttavia, la vita al suo interno viene vissuta e percepita come si trattasse di un’isola vera e propria.

Queste sue caratteristiche la rendono particolarmente interessante non solo da un punto di vista urbanistico, ma anche, e forse soprattutto, se analizzata attraverso la lente della psicogeografia situazionista, uno strumento analitico attraverso il quale studiare l’influenza psicologica dell’architettura. È a partire da questi presupposti teorici che i situazionisti sviluppano la pratica della derivé, ossia un modo di comportamento sperimentale il cui scopo ultimo consiste nel reinventare l’utilizzo dello spazio al fine di costruire una città ludica.

Vi furono una serie di esperienze “di deriva” preliminari già a Parigi, anche attraverso la creazione di mappe in cui la città era scomposta in isole che fluttuavano in uno “spazio liquido”. Tali isole erano collegate da frecce che indicavano possibili traiettorie, una sorta di invito a perdersi. Vi è dunque un cambio di concezione per noi centrale: come afferma l’architetto Franco Careri, autore di Walkscapes, la città si frammenta fino a trasformarsi in arcipelago, “una serie di città-isole immerse in un mare vuoto solcato dall’erranza”. 

L’insieme di esperienze e teorie trattate finora spiegano forse perché uno dei primi esperimenti “ufficiali” abbia avuto luogo a Venezia, arcipelago frattale la cui isola principale è anch’essa suddivisa in sotto isole. Si crea cioè una sovrapposizione tra le mappature situazioniste di Parigi e la conformazione territoriale dell’isola dei balocchi. 

La deriva in questione fu organizzata dall’artista inglese Ralph Rumney. Il fine era “de-spettacolarizzare” la città, scovando percorsi alternativi al già allora banale passaggio per San Marco o per il Canal Grande. Il protagonista della storia è il poeta Allan Alsen, che viene presentato come un giocatore [player] e a cui Rumney si riferisce usando la lettera A. 

Dal momento che A si lascia andare ai flussi, cercando di scovare le zone psicogeograficamente interessanti, il suo corpo finisce per venire attirato in situazioni non convenzionali rispetto a quelle predisposte. In un passaggio, si legge che

“A. è consapevole di essere fotografato e dà spettacolo. Malgrado questo, l’ambiente influenza palesemente il suo modello di gioco […]. Ma come giocherebbe A. a Londra?” (Rumney, 1957)

Il valore del progetto di Rumney sta nell’aver riconosciuto apertamente le maniere in cui la deambulazione individuale viene influenzata dalla “giungla veneziana” – secondo la definizione di Guy Debord, filosofo francese tra i principali fondatori dell’Internazionale Situazionista, di cui lo stesso Rumney farà brevemente parte. 

Dopo queste prime esperienze, ci furono altri esperimenti, più o meno politici, influenzati dall’approccio psicogeografico: le proteste trotterellanti del ’68, di cui è famosa la foto di Emilio Vedova che incita la folla; il progetto Suite Vénetienne di Sophie Calle, che nell’83 pedinerà per l’isola un uomo appena conosciuto documentandone gli spostamenti; il festoso incontro internazionale anarchico tenutosi nell’84; la performance Duett di Francis Alÿs del ’99, in cui lui e un collaboratore girarono per Venezia cercandosi con una metà tuba a testa, trovandosi finalmente dopo tre giorni per ricomporla e suonarla. Come ultima menzione d’onore vorrei ricordare l’assalto con un autoblindo rudimentale organizzato dalla Veneta Serenissima Armata nel ’97, che sicuramente non ha matrici libertarie ma sicuramente, a livello d’impatto, ha un sapore decisamente situazionista. 

Sarà però durante la Biennale del ’95 che il termine “psicogeografia” verrà usato di nuovo esplicitamente, per una performance collettiva organizzata da Luther Blissett – collettivo internazionale di matrice post-situazionista nato a Bologna. Il titolo scelto per questo evento fu “La vendetta di Ralph Rumney”, e consisteva in una serie di 500 adesivi recanti una freccia bidirezionale bianca su fondo magenta, che invitava i passanti a seguire un percorso casuale che, di fatto, non portava a nessuna meta specifica. Lo scopo era dunque quello di dare il via a una deriva collettiva, cosa che come ho già sottolineato tende ad essere una pratica comune nell’isola.

Non vi sono molti resoconti dell’evento, ma in base a quanto dicono gli organizzatori stessi vennero dati ai partecipanti, o almeno quelli della notte tra il 7 e l’8 luglio, un biglietto da visita su cui vi era scritto “Questo biglietto vale un posto in prima fila per l’apocalisse”, che era un modo per dire che “il Tramonto dell’Occidente inizia e finisce a Venezia”, almeno per la lettura che dà Blissett nel resoconto ufficiale dell’evento sul loro sito.

Seguendo queste suggestioni, nel 2021 ho fondato, assieme a Lorenzo Ercoli e Giacomo Furlan, l’Associazione Schizogeografica di Mappatura Alternativa [ASMA] che si pone come continuazione di questo filo rosso. Nel nostro caso la mappa diventa il territorio, anche quando i due non combaciano. Lo scopo però resta il medesimo: portare i partecipanti ad attraversare la città mettendo in dubbio le certezze urbanistiche.

Dopo i primi esperimenti a Bilbao e in Scozia, abbiamo organizzato con Zolforosso Gita a Rotterdam (2023), una visita guidata durante la quale ho fatto da cicerone. A ognuno dei venti partecipanti è stata data una radio attraverso cui ascoltarmi e una mappa di Rotterdam sovrapposta a quella di Venezia in modo da farlecombaciare. Per le due ore successive ci siamo aggirati seguendo le indicazioni di un itinerario turistico fino a raggiungere il resto di di ASMA per degli stroopwaffel fatti in casa.

A questo punto verrebbe opportuno chiedersi se questo progetto ha avuto luogo a Rotterdam o a Venezia – ma per questioni puramente schizogeografiche, preferiamo far sì che le due realtà s’accavallino e convivano senza interferenze.

Vi è insomma qualcosa nella conformazione di Venezia che spinge al gioco, se si è predisposti alla de-spettacolarizzazione. La sua natura frattale di isole e microisole la rende affine alle mappe parigine di Debord, mentre le sue calli e i suoi cunicoli favoriscono e richiedono di smarrirsi. Questo labirinto urbano viene introiettato dentro chi vi abita, rispecchiando i cunicoli, le scorciatoie e i ponti di collegamento tra un pensiero e l’altro. Di rimando, la forma mentis dei cittadini diviene anch’essa labirintica e soprattutto priva di orizzonte. La giungla veneziana è rischiosa per chiunque vi si addentri impreparato, e si nutre di fegati e neuroni.

Ma questo pegno da pagare potrebbe non essere più sufficiente a godersi questo stato di trance. Con la Smart Control Room (dispositivo di sorveglianza locale composto da 320 videocamere) le possibilità di azione diretta si riducono drasticamente. Portando alla sua estrema conseguenza la mappatura panottica, la vita nell’isola rischia di de-ludicizzarsi. Ma la città può ancora essere studiata psicogeograficamente per sviluppare alternative d’utilizzo che si facciano beffe del Controllo, ricordandoci che la dérive è una pratica dissidente.

Forse la sua natura cunicolare la rende un’isola adatta alla guerriglia, come ha ben riassunto il Collettivo Sumud nel comunicato “C’è chi corre e c’è chi trotterella”.

Ad ogni modo, vivere Venezia resta un’esperienza di magia trasformativa, seppure nera, e la deriva situazionista pare essere la maniera più comune di fare esperienza dell’isola – esperienza da cui trarre lezioni importanti da applicare, se si vuole, a qualsiasi altra città.

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